mercoledì 1 marzo 2017

Il Clup dei misteri stravaganti

"Il vero problema è che in Italia il costo del lavoro è troppo alto"....
"I salari in Italia sono cresciuti molto più della produttività, e abbiamo perso competitività.."
"Per tornare competitivi, bisogna ridurre il costo del lavoro..."

Queste opinioni sono ormai molto comuni: si trovano molto spesso sui giornali, in televisione, in rete, sui social, e da diverso tempo.

Io credo che queste opinioni siano completamente false, e voglio dimostrarlo.

Innanzitutto, chi riferisce le opinioni appena citate, lo fa spesso riportando questo grafico (o simili).



Il grafico mostra l'andamento del Clup (costo del lavoro su prodotto unitario), così come calcolato da  diversi enti, come l'Oecd, o Eurostat, per l'Italia e per la Germania.
Secondo molti, questo grafico mostrerebbe in maniera inequivocabile che "l'Italia ha un gap di competitività rispetto alla Germania di 40 pp"..o cose del genere.
Idea molto bizarra.
Il grafico mostra infatti un indice, un andamento, e considerare quella differenza come un "gap di competitività" sarebbe come confrontare la crescita (in altezza) di un adulto e di un bambino di 10 anni, negli ultimi 10 anni, e concludere che "il bambino è ormai molto più alto dell'adulto", solo perché è cresciuto di più.
E' vero che il "clup" (come calcolato da Oecd) è cresciuto di più in Italia, ma questo non significa affatto che sia più alto di quello tedesco.
Abbiamo sottolineato inoltre che questo clup è quello "calcolato da Oecd" perché è molto importante capire come è costruito questo indice, e comprendere quali "tranelli" possa nascondere. Lo vedremo.

Ma prima di fare questo, visto che si vuole confrontare il costo del lavoro sul prodotto unitario in Italia con quello tedesco, o con quello di altri paesi, possiamo prendere direttamente i dati di queste due grandezze, e farne il rapporto. Prendiamo proprio i dati di contabilità nazionale dai database Oecd (disponibili dal 1970).
Ecco il risultato.




E consideriamo anche il rapporto tra le retribuzioni lorde e il prodotto (valore aggiunto).



Come si può notare l'Italia presenta valori molto più bassi degli altri paesi.

Ma anticipiamo subito qualche critica ai grafici proposti:
Perché utilizzare direttamente i dati di contabilità nazionale non è molto corretto, principalmente perché il costo del lavoro fa riferimento al costo totale del lavoro impiegato per le varie imprese e attività per produrre certi beni e servizi, ma il prodotto creato (valore aggiunto) viene prodotto anche da quell'insieme di 'imprenditori' che non fanno uso di dipendenti, ovvero dei lavoratori autonomi.
Questo rapporto quindi può rappresentare correttamente la quota del costo del lavoro rispetto a quanto prodotto da una certa economia, ma non il rapporto tra costo del lavoro e valore aggiunto (medio) per le imprese di quel paese.
Come 'correggere' questo errore? Si possono usare diverse tecniche, più o meno criticabili.
Poi vedremo il metodo utilizzato da Oecd.
Noi invece preferiamo correggerlo utilizzando dati più attendibili, anche se "limitando" il nostro campo di osservazione.
I dati di contabilità nazionale, sono infatti suddivisibili, da molto tempo, anche per "settori istituzionali": è così possibile considerare il valore aggiunto e il costo del lavoro soltanto per le imprese (imprese non finanziarie o imprese finanziarie), escludendo il settore pubblico, le famiglie consumatrici e quelle produttrici.
Secondo le metodologie comuni, nelle famiglie produttrici vengono incluse tutte le attività imprenditoriali con meno di 5 dipendenti, comprendendo quindi tutti gli "autonomi"citati prima.
Il rapporto tra costo del lavoro e valore aggiunto limitato alle imprese non finanziarie (o a quelle finanziarie) può darci quindi una misura corretta del Clup delle imprese di un certo paese.
Il difetto, per questa scelta, è che questa classificazione, per settori istituzionali, parte dai dati del 1995. Non esistono dati precedenti. Ci dobbiamo quindi accontentare.
Ecco quindi i grafici del costo del lavoro e delle retribuzioni in rapporto al valore aggiunto, limitati alle imprese non finanziarie.




I grafici confermano il basso valore del clup italiano rispetto ai suoi concorrenti negli anni '90 (possiamo ipotizzare un livello molto simile anche per gli anni precedenti alla serie) e una progressiva crescita a partire dai primi anni del 2000.
Quindi, è vero – se vogliamo assegnare al clup un valore di "indice di competitività" delle imprese – che l'Italia ha perso competitività durante gli anni 2000. Ma è solo perché partiva da una posizione di assoluto vantaggio. Il "gap competitivo" era tutto a vantaggio dell'Italia.
E non di poco. Il grafico è molto chiaro: negli anni '90, per produrre 100 euro di valore aggiunto, le imprese degli altri paesi spendevano 60-65 euro di costo del lavoro, le imprese italiane soltanto 50.

Come si è arrivati a questo "vantaggio"?
Possiamo fare una semplice valutazione su quanto avvenuto negli anni '90 – anche perché "storia nota" – un po' più difficile fare valutazioni sugli anni precedenti, perché come detto mancano dati completi; ma troveremo qualche valida alternativa.

Rappresentiamo qui alcuni grafici.








Come si vede bene, per tutti, l'andamento delle retribuzioni e del costo del lavoro italiano sembra discostarsi da quello della produttività e da quello degli altri paesi nel 1992-1993.
Il 1992 fu l'anno di una importante crisi per la nostra economia e la nostra industria, ma il 1993 fu soprattutto l'anno in cui fu avviata una politica di "moderazione salariale", promosso dal governo (Ciampi), firmato dai sindacati.
I risultati sono quelli visti nei grafici: le retribuzioni e il costo del lavoro si staccarono dalla produttività, almeno fino ai primi anni del 2000. Poi tornarono ad avvicinarsi.
Resta da capire quale fosse il livello del clup italiano prima degli anni '90. Difficile che questo 'vantaggio' si sia creato solo in un paio d'anni, dopo gli accordi del 1993.
Per fare chiarezza su questo punto possiamo utilizzare dei dati del Centro Studi di Mediobanca, che raccolgono i dati dei bilanci di molte imprese italiane, dalla metà degli anni '70. Anche se le imprese considerate da queste indagini sono quelle maggiori, con buona approssimazione possiamo pensare che gli andamenti del clup "elaborato" possano valere anche per le altre imprese.



Cosa si trova quindi? Innanzitutto il valore del clup a metà degli anni' 90 è simile a quello trovato con i dati Oecd (45-50%), a conferma delle nostre "ipotesi". A metà degli anni '70 invece il clup valeva il 70-75%
Non abbiamo dati degli altri paesi prima degli anni '90, ma dal confronto con i dati francesi del grafico già mostrato prima...



possiamo stimare che negli anni '70 il clup italiano fosse simile a quello francese (e forse degli altri paesi), ma è progressivamente diminuito (è diminuito anche altrove) e più velocemente di quanto non avvenuto negli altri paesi, fino al basso livello della metà degli anni '90, come già visto, anche per l'ulteriore "spinta" delle politiche del '93.
Tutto fa quindi supporre che l'Italia abbia sempre avuto - dalla fine degli anni '70 all'inizio degli anni 2000 - un notevole "vantaggio competitivo" rispetto agli altri paesi, in termini di Clup.
L'esatto contrario quello che lamentano molti.
Abbiamo però perso competitività negli ultimi anni? Il grafico ci dice che al massimo siamo tornati a quella del 1990. E resta da capire perché dovessimo avere questo "vantaggio competitivo" e come sia stato sprecato.
Gli altri paesi infatti hanno migliorato di molto il loro clup, ma – a differenza dell'Italia – migliorando la produttività, senza ridurre le retribuzioni, che invece sono cresciute più che in Italia.
Questa è l'unica strada della crescita. Che l'Italia ha perso da tempo.



Resta solo da vedere come l'Oecd calcoli il Clup, e spiegare alcuni "misteri", che possano svelare alcuni segreti del grafico riportato inizialmente.

Abbiamo detto che un semplice rapporto tra costo del lavoro e valore aggiunto da dati nazionali non sarebbe corretto, perché parte del VA è prodotto dagli autonomi, che per definizione non utilizzano lavoro altrui.
Come fa l'Oecd a correggere questo errore? Imputa ad ogni autonomo un "costo del lavoro" pari a quello medio dei dipendenti veri e propri. Nei fatti, questa correzione è fatta semplicemente calcolando un "self-employment ratio", rapporto tra gli occupati totali e i dipendenti, e moltiplicando il costo del lavoro dei dipendenti per questo fattore, ottenendo così un "costo del lavoro totale".
Tutti possono però comprendere quanto sia arbitraria questa ipotesi.
Ma questa non è l'unica stranezza dei conti dell'Oecd. Questa è ancora più "bizzarra":
Il clup dell'Oecd non è un rapporto tra Costo del Lavoro Totale (calcolato come abbiamo descritto), e Prodotto (Output) nominale; l'Oecd utilizza l'Output reale, corretto secondo l'andamento dell'inflazione. Ma se il clup dell'Oecd è quindi Costo del Lavoro / (Valore Aggiunto / Inflazione), in pratica risulta essere uguale al Clup, come da noi considerato (Costo del Lavoro /Valore Aggiunto), moltiplicato per l'inflazione. Ecco da cosa origina il "gap di competitività" con la Germania lamentato da molti: dalla maggiore inflazione che si è avuta in Italia.
Vediamo i grafici:



Il Clup vero e proprio - costo del lavoro totale su prodotto, è cresciuto in Italia di 4 pp.



All'inflazione dobbiamo invece una variazione di quasi 30 pp.
Il risultato è il Clup (Oecd) visto in partenza.



La Germania è riuscita a diminuire il suo Clup, sicuramente, ma questo è merito loro, e questa è comunque un'altra storia.


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Nota: Il titolo di questo post è un omaggio a G.K.C.

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