giovedì 29 giugno 2017

Boeri alla Camera

Avevamo preso l'impegno di seguire i lavori relativi al progetto di modifica dell'art. 38 della Costituzione "per assicurare l'equità intergenerazionale dei trattamenti previdenziali e assistenziali".
Ieri si è svolta una Audizione Informale del Presidente dell' INPS, Tito Boeri, su questo tema.
Pubblichiamo quindi il resoconto completo e il video dell'Audizione (in fondo alla pagina).

Resoconto della Audizione

(nota bene: resoconto prodotto in proprio, quindi non ufficiale)

AGGIORNAMENTO: Il resoconto della Audizione è stato integrato con i grafici presentati dal Presidente dell'Inps, Tito Boeri (ringraziamo l'on. Andrea Mazziotti per averceli forniti).



Andrea Mazziotti, Presidente della Prima Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati:

Bene, allora, l'ordine del giorno reca l'audizione del presidente dell'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, Tito Boeri, in relazione alla proposta di legge Mazziotti di Celso e abbinati, recante modifica all'articolo 38 della Costituzione per assicurare l'equità intergenerazionale dei trattamenti previdenziali e assistenziali.
Avverto che se non è stata fatta richiesta, l’audizione informale odierna sarà trasmessa mediante web tv ai sensi del parere della Giunta del regolamento del 26 giugno 2013 (a condizione che vi sia il consenso del Presidente Boeri).
Non essendoci obiezioni dispongo la pubblicità dei lavori, assicurata mediante la web tv della Camera dei Deputati.
Ringrazio quindi della presenza il presidente Boeri, che è accompagnato (anche se... non mi pare...c’era una indicazione)... e quindi gli dò subito la parola.

Tito Boeri, Presidente dell'INPS:

Grazie Presidente di questa opportunità di pronunciarmi su una legge, proposta di legge costituzionale, sul tema del rapporto tra generazioni.
Ritengo che sia molto importante che la nostra Costituzione faccia esplicitamente riferimento ai rapporti fra generazioni e questa proposta di legge costituzionale viene appunto a introdurre questo principio molto importante di non discriminazione tra generazioni.
Inoltre c'è un riferimento esplicito alla sicurezza sociale e quindi alla spesa sociale, all'articolazione della stessa per diverse classi di età e per diverse generazioni.
Entrambi i richiami sono molto importanti, come cercherò di sottolineare anche fornendovi alcuni nuovi dati a riguardo.
Lasciatemi subito dire però, per sgombrare il campo da possibili interpretazioni, che non credo che la volontà di questo disegno sia quello di legittimare d'ora in poi delle operazioni retroattive sulle pensioni - peraltro credo che la Corte abbia sempre ritenuto ammissibile un intervento legislativo retroattivo, purché questo intervento retroattivo avvenisse a tutela di interessi di livello costituzionale e non fosse del tutto arbitrario e irrazionale; questi principi assieme a quelli di proporzionalità adeguatezza delle pensioni che sono appunto nell'articolo 38 della Costituzione valgono, valevano, allora quando si era pronunciato, anche per quei provvedimenti legislativi che sono diretti a modificare anche retroattivamente l'ordinamento pubblicistico delle pensioni.
Dicevo appunto che si sente molto la necessità in Italia di procedere ad una maggiore attenzione alle generazioni più giovani e alle generazioni future nell'articolazione della spesa sociale.
Ho preparato per voi alcune tabelle: vi danno alcune informazioni sulla situazione, diciamo, dal punto di vista della protezione sociale dei giovani all'interno del nostro Paese.
Il primo grafico vi documenta quello che è successo durante la lunga crisi del 2007-2015 ai giovani e alle persone di altre fasce di età nel nostro Paese; in particolare vi mostra la percentuale di persone in povertà assoluta per classi di età.

 



Credo che il messaggio del grafico sia più che eloquente: noi vediamo che i gruppi di età in cui c'è stata una maggiore crescita della povertà sono quelle fino a 17 anni e poi tra i 18 e i 34 anni; quindi diciamo che la crescita della povertà si è concentrata in Italia al di sotto dei 35 anni; mentre invece è rimasta relativamente stabile tra le persone con più di 65 anni, e questo avviene perché al di sopra dei 65 anni abbiamo degli strumenti di contrasto alla povertà che sono all'interno, in gran parte, del nostro sistema pensionistico, mentre al di sotto dei 65 anni c'è una forte carenza di misure di contrasto alla povertà.
Gli altri dati - che ho voluto condividere con voi - riguardano invece l'articolazione della spesa sociale nel nostro Paese per fasce di età; in particolare la seconda diapositiva vi documenta come viene distribuita la spesa complessiva per prestazioni sociali nel nostro Paese per fasce di età.




Come vedete c'è una concentrazione fortissima della spesa sociale al di sopra dei 65 anni; circa l’ 80% della spesa è al di sopra di 65 anni di età.
Questo si spiega con l’importanza del sistema pensionistico all'interno del nostro paese, del nostro ordinamento, del nostro sistema di protezione sociale (noi abbiamo per comparazione internazionale una spesa sociale che è molto più squilibrata a favore delle pensioni che altri paesi dell'area Ocse), ma non solo: si spiega anche col fatto che manca in Italia uno strumento - come dicevo prima - di contrasto alla povertà che agisca al di sotto della soglia dei 65 anni di età; in effetti quando andiamo a guardare la distribuzione della spesa per prestazioni per fasce di età, togliendo la spesa strettamente previdenziale - e questo viene fatto nella terza diapositiva, quella con questa accumulata, questa distribuzione cumulata in blu -



voi vedete che la quota di spesa che va al di sotto dei 30 anni è attorno al 10%, sale al 26% quando aggiungiamo anche le persone fino a 40 anni di età, ma per salire al di sopra del 50% dobbiamo arrivare ai 60 anni e poi c'è un ripido incremento fino al 100% al di sopra dei 70 anni.
Quindi c'è una fortissima concentrazione anche della spesa non previdenziale in Italia a svantaggio delle generazioni più giovani.
Per ulteriormente darvi elementi su questo aspetto, abbiamo voluto anche mostrarvi la spesa per prestazioni alla famiglie per fasce di età e quella per sussidi di disoccupazione;.



Noi sappiamo che in Italia la disoccupazione è fortemente concentrata tra i più giovani; nonostante questo, anche la spesa per i sussidi di disoccupazione, per i trattamenti contro la disoccupazione, ha un profilo per età che tende a penalizzare le persone con meno di 35 anni di età.
Quindi c'è un problema generazionale molto forte nel nostro paese, nel modo con cui la sicurezza sociale ha affrontato i problemi dei giovani: è un problema che noi abbiamo segnalato a più riprese e su quale abbiamo anche sviluppato una serie di proposte in un documento che abbiamo presentato nel 2015 che portava come nome “Non per cassa, ma per equità”, e uno degli argomenti centrali di questa equità era legata all’equità intergenerazionale, quindi, alla luce di questo, devo dire, ripeto, un richiamo della Costituzione a questi temi e sicuramente è puntuale.
Per quanto riguarda specificamente le pensioni, io credo che sia molto importante che il modo in cui poi questo principio dovrà essere interpretato dallo stesso Parlamento sia quello di guardare con estrema attenzione a tutti i futuri provvedimenti che vengono messi all'ordine del giorno in tema di protezione sociale e di previdenza guardando a quali sono le implicazioni di questi provvedimenti sulla situazione delle generazioni future: oggi come oggi, quando si valutano dei provvedimenti di riforma, per esempio delle pensioni, si fanno delle relazioni tecniche che hanno un orizzonte decennale, e guardano all’impatto di breve periodo tutto sommato di questi interventi, ma quando noi guardiamo a misure di riforma del sistema previdenziale, noi dobbiamo sempre guardare all'impatto di lungo periodo di questi provvedimenti.
E’ per questo che noi suggeriamo che si guardi ad una grandezza che sin qui è stata largamente ignorata nel confronto pubblico in tema di riforma previdenziale in Italia, che è il debito implicito pensionistico, definito come l'insieme degli impegni futuri in valore attuale e a legislazione vigente, presi dallo Stato nei confronti dei cittadini in termini di prestazioni pensionistiche al netto dei contributi; in altre parole bisogna guardare a che cosa accadrà alle generazioni future, a quale sarà l'onere che questi provvedimenti vengono a porre sulle generazioni future.



Vi ho voluto fornire alcuni esempi di come la nozione di debito implicito sia utile per valutare delle misure che sono state adottate recentemente.




In particolare vi ho dato alcuni esempi che sono basati su delle analisi che ne abbiamo svolto per il governo e per lo stesso Parlamento in occasione della legge di bilancio per il 2017 che veniva a porre in essere una serie di interventi in materia pensionistica; queste analisi documentano che alcuni provvedimenti che hanno nell'immediato degli effetti relativamente marginali sul disavanzo, sull’indebitamento e sul debito, a lungo andare invece hanno degli effetti molto forti sul debito pubblico e quindi sugli oneri che graveranno sulle generazioni future.
D'altra parte la storia delle riforme e della previdenza in Italia è una storia costellata da episodi in cui, magari poco prima di qualche elezione, il governo di turno concedeva dei trattamenti molto di favore ad una categoria di lavoratori e di persone vicine alla pensione, questo provvedimento nell'immediato aveva dei costi relativamente limitati, ma poi nel corso del tempo si accumulavano degli oneri molto pesanti che poi sono finiti per gravare sulle generazioni più giovani; la storia per esempio delle baby pensioni è eloquente a questo riguardo.
Quindi, per tornare a quello che dicevo all'inizio, io penso che questo richiamo che la proposta di legge costituzionale viene a fare al principio dell'equità intergenerazionale del trattamento non discriminatorio nei confronti dei giovani, credo debba essere interpretato proprio guardando anche al modo con cui in Parlamento si discutono provvedimenti in tema di protezione sociale; è molto importante che le consuete analisi e relazioni tecniche,  soprattutto in tema di riforma previdenziale, non guardino soltanto all'impatto immediato di questi provvedimenti, ma guardino all'impatto nel più lungo periodo, utilizzando a fondo una nozione come quella di debito implicito, sulla quale l'Inps è impegnata con i propri modelli, col proprio lavoro, a fornire delle stime; siamo chiaramente a vostra disposizione per fornirle qualora voi ce le richiedeste.


Interventi e domande dei membri della Commissione


Emanuele Fiano (PD):

Ovviamente Presidente Mazziotti, se lei consente, l'intervento del presidente Boeri, che ringrazio, va contemplato sommandolo ad un ragionamento sugli effetti della legge proposta ove approvata; nel senso che il professore Boeri, qui oggi ci presenta in maniera molto esplicita e utile una fotografia dell'andamento di alcuni dati riguardo alle classi di età, e, direi, la cosa più eclatante forse è la sovrapposizione ‘invertita’ tra le classi di povertà assoluta per le classi di età, nel nostro paese, negli ultimi dieci anni, e la distribuzione della spesa pubblica: le due facce, diciamo, inverse dell'andamento dei grafici; e di questo lo ringraziamo, perché è un dato che fa oggettivamente pensare; e tutti gli altri dati che qui ci ha riferito che sono molto utili per capire la situazione; tuttavia, al di là della situazione che è - possiamo dire senza eufemismi - drammatica, per alcune delle cose che qui sono rappresentate, viene fatta questa audizione per ragionare sullo sfondo di contesto degli effetti che potrebbe avere la modifica dell'articolo 38 della Costituzione che viene proposta dai firmatari delle proposte di legge o della proposta di legge, cioè la mia domanda è: ma quella modifica...visto che il quadro è questo, è quindi è un quadro - diciamo così - che dovrebbe portare i legislatori a ragionare di una modifica dell'assetto attuale per correggere quella struttura diagrammatica che ci viene rappresentata,  questo significa che la proposta di legge possa permettere una modifica delle future ipotesi di modifica del quadro pensionistico nella direzione di inversione di quel quadro, perché altrimenti non si capisce il rapporto tra l'audizione e il testo del proponente.
Il quadro è molto chiaro - siccome il presidente ha detto con riferimento al testo di legge che stiamo discutendo... ha in un certo senso messo le mani avanti... senza che questo nulla voglia dire rispetto la modifica proposta.. però, evidentemente se il quadro è questo e l’audizione dice quello, e condivido la drammaticità dei dati che ci vengono riportati, quella modifica costituzionale, secondo lei Presidente, porta la possibilità di intervenire in maniera che negli anni scorsi non si è potuto fare sul quadro previdenziale? perché noi sappiamo benissimo cosa è successo negli anni scorsi, e cioè che - come dire - la Corte ha permesso solo di intervenire con contributi di solidarietà nel quadro di pensioni più alte, mentre forse, se non capisco male, questa proposta di modifica apre invece a modifiche strutturali, non a contributi di solidarietà.
Questo era solo per comporre il quadro: poi è compito del legislatore discutere di questo punto. Ma non si capirebbe altrimenti il rapporto tra audizione e il testo proposto. 


Andrea Cecconi (M5S):


Grazie Presidente, senza ripetere quello che è già stato detto dal collega Fiano in merito alla drammaticità dei dati o al fatto che il Presidente dell'Inps approfitta anche dell'audizione per presentarci, diciamo, anche un dato economico del suo ente che nel lungo periodo sicuramente risentirà dell'attuale sistema previdenziale o di sostegno sociale che abbiamo.
E’ sufficientemente noto ai più che noi come Movimento 5 Stelle abbiamo una idea in merito al sostegno delle fasce pre-previdenza pubblica che, può piacere o non piacere, può essere giusta o sbagliata, ma non ci crediamo che possa essere una soluzione giusta per questo paese.
Ma, in merito alla proposta di legge Mazziotti e altri, se c'era da fugare il dubbio sul fatto che questa proposta di legge serviva, o serva, a fare della rimodulazione retroattiva rispetto al sistema pensionistico o diciamo vitalizio - perché il tema di discussione di questa proposta di legge era nato di pari passo con le proposte di legge sui vitalizi  - la lettura che diamo noi è che questa modifica costituzionale servisse proprio a quello, cioè a permettere al legislatore di attuare quelle misure affinché si potesse fare una modifica retroattiva per esempio sulle pensioni d'oro, su quelle pensioni, oggi, sia politicamente che socialmente inadeguate rispetto al panorama sociale dei cittadini italiani, che fino adesso si sono scontrati contro un muro, o della Corte Costituzionale o di ricorsi presso i tribunali ordinari, che di fatto hanno vanificato tutti i tentativi fatti anche dai precedenti governi o quelle nell'attuale legislatura che si è cercato di fare perché ci si è sempre scontrati sul fatto che non si potesse rimodulare il pregresso in maniera retroattiva per cercare di fare una redistribuzione sociale.
La mia domanda è: se non ci fosse questa riforma, questa proposta di legge, se non si facesse questa riforma costituzionale sull'articolo 38 della Costituzione, ci sarebbe - secondo lei ovviamente, secondo la sua opinione - comunque la possibilità di attuare degli interventi legislativi ordinari, quindi non costituzionali, in maniera tale da scavalcare i precedenti profili di incostituzionalità? perché evidentemente le leggi che sono state fatte o non erano ben fatte o avevano dei problemi reali di incostituzionalità tali che possono essere però in maniera differente aggirati e porre una soluzione anche senza una riforma costituzionale che - come sappiamo tutti - ha un tempo di conversione legislativa lungo e che - con i mesi che abbia di fronte in questa legislatura - non credo sia possibile, anche andando celermente, portare a compimento tutto il percorso. 


Daniela Gasparini (PD):

Sì, grazie per i dati che ci avete fornito, che ci ha fornito il presidente dell'Inps.
Io sono d'accordo sul fatto che dobbiamo approcciare questa proposta di modifica costituzionale senza creare falsi allarmismi e tenendo conto di quelle che sono le sentenze che la Corte Costituzionale nel tempo ha prodotto e che posso dire che di fatto noi per quanto riguarda la retroattività non stiamo mettendo in discussione con questa proposta di legge costituzionale, che peraltro ho firmato, con quello scenario; con tutti i giudizi e con tutte le azioni che comunque abbiamo fatto, fra cui la compartecipazione con contributo di solidarietà che abbiamo chiesto ai pensionati che hanno avuto norme retroattive.
Mi pare importante focalizzare le cose che lei presidente Boeri ha detto: che questa riforma costituzionale potrebbe essere l’obbligatorietà per il Parlamento, per il Governo, per tutti gli organi legislativi di approcciare una norma tenendo conto degli effetti; perché questo mi sembra molto importante: di fatto costringere a questo punto il legislatore ci sarà una commissione “Valutazione Equilibri Generazionali”; scherzo, ma per un verso ha un senso,  capire gli effetti che fa, che non sono solo economici, ma sono poi con ricadute sociali nel tempo. 
Questo, volevo capire se questo è il concetto che lei voleva evidenziare, che mi trova perfettamente d’accordo, perché comunque la politica è così, tra virgolette, frammentata, che non garantisce tempi lunghi, le istituzioni sempre più facili, mi sento di dire: a me piacerebbe molto che ci fosse un organo dello Stato che garantisce che garantisse una lettura nel tempo dei processi, per evitare che qualcuno paghi come successo con le pensione baby successivamente i danni di scelte fatte in quel momento per interessi vari per pagare una incapacità di gestire anche il personale pubblico e bla bla bla bla. Questa è una prima domanda.
La seconda domanda riguarda due domande: questa tabella è ancora prima dell'attuazione della legge sul tema della povertà? cioè quella sulle… da questo punto di vista, ci sono già dei dati? non credo, perché i decreti sono appena arrivati, però sarebbe molto interessante, da qui a fine anno, capire dei 2 miliardi di risorse messe a disposizione se hanno cambiato un po' questi dati, perché in fondo uno sforzo questo Parlamento l’ha fatto per rispondere a un riequilibrio, o comunque per rispondere, ahimè, un equilibrio di sostegno assistenziale; questo un primo dato; però è un'emergenza, io credo che sia importante, anche permetterci come Parlamento, con la prossima legge di stabilità, capire come correggere legge e risorse, se ci saranno, da mettere a disposizione a questo tema.
L'ultima domanda riguarda la terza slide: quando viene presentata la spesa complessiva per prestazioni senza previdenziali; una curiosità, un interesse... nelle prime due fasce, fino a fino a 29 anni, noi abbiamo qua una insufficiente, ma comunque poderoso, investimento sulla scuola; sono contemplate queste cifre? perché in questo caso mi lascia molto preoccupata questa tabella; se sono tutti i costi.. perché in realtà noi teoricamente lì dovremmo investire molto sulle generazioni, ma in particolare sul tema formazione-scuola.


Annagrazia Calabria (Forza Italia):

Grazie Presidente, intervengo anche come firmataria insieme a tanti colleghi, anche di Forza Italia, come Ravetto e Centemero, a questa proposta di legge del presidente Mazziotti.
Lo faccio innanzitutto per ribadire, secondo me, la bontà della proposta di legge, perché è una proposta che, qualora venisse approvata - con le complicazioni che derivano dal processo di approvazione della legge di rango costituzionale - però ovviamente andrebbero eliminati tutti quei pretesti per giustificare privilegi e ingiustizie che ci sono stati nel nostro paese, perché è indubbio che la nostra società è stata una società malata di egoismo generazionale per tantissimi anni; appartengo a una generazione - che è anche quella di alcuni colleghi che mi hanno preceduto -  che ha subito molte scelte che sono state fatte negli anni passati, in special modo negli anni ‘80, in Italia, che hanno scaricato su questa generazione dei pesi che sono ormai insostenibili.
Ecco, io penso che lo Stato debba assumersi la responsabilità di un welfare dinamico, appunto che aiuti i ragazzi a liberare le proprie potenzialità, i propri sogni, a potersi realizzare.
Ringrazio il Presidente Boeri per il sostegno che ci ha portato; ho avuto l'opportunità anche di ascoltarlo ad altri convegni che hanno potuto approfondire questa materia; ringrazio il Presente Mazziotti per aver portato in Parlamento una proposta di legge così importante.
Io mi auguro che questo Parlamento - che si avvia a naturale scadenza - possa lasciare come eredità al Parlamento che ci sarà, o comunque alle nuove generazioni, una legge che davvero porti equità e ragionevolezza in tutte le scelte che affronterà il nostro legislatore. 


Emanuele Fiano (PD):

Scusi Presidente Boeri, ma per capire: le ultime due slide, cioè i possibili esempi di calcolo degli effetti di una riforma pensionistica sul debito implicito; queste quattro ipotesi di possibilità di flessibilità in uscita, a cui lei si riferisce, contemplano il provvedimento sull’APE che è già stato prodotto, o qui ci sono delle ulteriori ipotesi di proposta; cioè sono proposte che lei aggiunge? La domanda è questa.


Marilena Fabbri (PD):

Sì, grazie, Presidente, una delle domande era proprio quella che ha fatto il nostro capogruppo Fiano: cioè quindi capire meglio la valenza delle ultime due slide perché non era.. non è ben chiaro... quali sono i presupposti; se si tratta di nuove proposte o un'analisi della situazione alla luce delle decisioni già prese.
La seconda invece, chiedevo meglio un chiarimento rispetto al fatto che l'approvazione di questa legge imporrebbe poi l’obbligatorietà di valutare i sistemi pensionistici alla luce della non discriminazione generazionale; in particolare, se questo.. - insomma magari, meglio farlo poi anche a dei costituzionalisti - .. ma se questo in realtà porta un obbligo, diciamo, a legiferare in futuro tenendo conto di questo principio o appunto a mettere mano alla situazione allo status quo e quindi ai diritti acquisiti, perché, come si diceva prima, se noi andiamo a guardare il nostro passato, alla luce di oggi, alla luce dei criteri e parametri di oggi, anche la sostenibilità economica, rispetto a quelle scelte, ci sono sicuramente diverse scelte che non sono sostenibili economicamente e che alla luce di oggi appaiono inique rispetto ai principi con cui si sono formati. Sicuramente c'è il tema delle pensioni d'oro, ma molto spesso le pensioni d'oro sono maturate anche alla luce di versamenti effettivamente fatti; ma ci sono anche le baby pensioni, dove invece porteremmo sul lastrico e sulla povertà migliaia, centinaia di migliaia di persone; e tenuto conto che ovviamente loro non hanno abusato di in una situazione, ma hanno usufruito di una previsione di legge, quindi comunque le loro scelte anche lavorative-familiari sono state poi determinate da delle norme che erano esistenti e gli consentivano anche di fare delle scelte di un certo tipo.
Ne approfitto della presenza del Presidente per porgli un altro quesito: non pretendo che risponda qui perché credo che dovrebbe fare anche delle altre analisi di dati.
Io ho l'impressione che quando si ragiona di pensione, quindi di quanto il sistema pensionistico presente e futuro peserà sulla spesa pubblica, non si tenga conto invece di una spesa indiretta che... anzi di un risparmio indiretto, che la pensione, non dico anticipata, ma ad una giusta età, determina invece sul sistema nel suo complesso; faccio alcuni esempi: una persona in pensione a 60 anni, almeno nel nostro territorio, che è quello dell'Emilia Romagna, compensa o integra il sistema del welfare sociale di quel territorio: un pensionato a 60 anni vuol dire che va ad alimentare le fila dell'associazionismo, del volontariato, in campo sociale - da noi penso alla Pubblica Assistenza, quindi il soccorso in ambulanza - ma penso all'assistenza agli anziani, il sostegno ai bambini.. quindi in diversi campi; nonché i pensionati a 60 - adesso dico 60 anni, potrebbero essere 62, 63 quello che è, ma sicuramente non a 70 - va invece a supportare il sistema del welfare familiare; penso alla cura dei genitori che diventano anziani ottanta-novantenni che anziché pesare nelle case di riposo, RSA o sanità pubblica, vengono supportate con l'assistenza di cura dei propri familiari; penso anche al servizio che i nonni fanno per i nipoti: ci sono giovani che programmano le nascite dei propri figli, o anche addirittura la possibilità di mettere su famiglia, solo se sono in grado di appoggiarsi sulla rete familiare, in particolare i genitori che svolgono questo servizio; quindi, io mi chiedo se sia mai stata fatta un'analisi, oltre che per capire quanto il bilancio dello Stato risparmia nel mandare tardi le persone in pensione, quanto invece ci perde in tutto questo, diciamo, servizio di supporto, che le persone invece in realtà, diciamo, danno alla comunità nel suo complesso; quindi c'è tutta una serie di costi che loro compensano con la loro presenza nel sistema di welfare integrato.
Io penso che, se questo andamento va avanti, cioè se si mantiene le pensioni a 67 e addirittura le si alza, avremo un aumento della spesa su altri fronti; proprio perché le donne non potranno più supportare i lavori di cura, non potranno più supportare i figli e ho l'impressione avremo anche un ulteriore crollo della natalità del nostro paese .



Roger De Menech (PD):

Io credo che la proposta abbia degli aspetti positivi rispetto allo stimolo alla discussione, ma sui due fronti: il patto fra le generazioni - che è chiaro che in questo paese è un evidente problema, non solo sul tema pensionistico, ma sull' accesso libero alle professioni... potrei citare molti altri campi in cui le nuove generazioni non sono nelle stesse condizioni di chi li ha preceduti, e questo in prima - e sulla misurazione degli effetti delle norme.
Ma siccome io, con un pizzico di concretezza, vedo complicato che - pur meritevole questo tema, possa raggiungere un obiettivo pratico, in questo scorcio, in questo pezzo finale di legislatura - la domanda che faccio anche per introdurre un tema e un dibattito serio in questo paese, è quella che, secondo me, i Padri, quelli che la Costituzione l'hanno scritta, ci hanno già consentito, nella loro idea di paese, di mettere in atto dei provvedimenti che non andassero a colpire un pezzo delle generazioni future; quando lei ha citato l'articolo 38, in quell'articolo hanno scritto “mezzi adeguati”, e con il termine “adeguato” in italiano non vuol dire mezzi “sovradeguati”, o “troppo adeguati” o “notevolmente adeguati per alcuni” e “per nulla adeguati per altri”.
Nell'articolo 36 che riguarda i lavoratori, i Padri che uscivano dal dopoguerra, e che dovevano garantire a tutti una vita dignitosa, dicono che “la retribuzione deve garantire innanzitutto la vita dignitosa”: usano questi termini; allora il grande tema della equità del sistema pensionistico - e poi, come dicevo, potremmo aggiungerci.. - è un tema che, secondo me, va posto anche a Costituzione vigente, anche a Costituzione vigente; perché nell'intenzione del legislatore, o meglio del Padre Costituente, sono certo, non c'era l'intenzione di creare una società di doppio livello.
Dico questo perché questo non vuol dire - lo dico in maniera molto chiara - prendere per mano il sistema pensionistico e mettere in dubbio la pensione al minimo del baby lavoratore che per un meccanismo di un periodo storico è andato in pensione a 20 anni, con 20 anni di lavoro, perché in quel caso subentra, come dice l'articolo 38, “mezzi adeguati alla vita”, per quel pensionato; vuol dire però che questo meccanismo, se preserva l'adeguatezza dei mezzi per chi è anche andato, per un periodo favorevole, molto più presto degli altri, molto in anticipo in pensione, dall'altra però questa applicazione dovrebbe essere fatta anche rispetto a una platea che invece ha usufruito in questi anni di mezzi molto, molto fuori dalla norma e dell'adeguatezza in termini economici.
Questo è un tema politico e sociale soprattutto, perché altrimenti in questo paese noi alimentiamo lo scontro delle generazioni; perché questa è la verità: un pezzo del paese non avrà mai nemmeno l'aspirazione di poter competere con un altro pezzo del nostro paese;  questo è un problema serio, e credo che questo incida - lo dico alla collega Fabbri - molto di più rispetto alla percezione che questo stato può avere un futuro, molto di più rispetto alla costruzione di un welfare diffuso.
Io da padre aspirerei che una famiglia potesse mettere al mondo dei figli a prescindere da un pezzo straordinario come è il mondo del volontariato; straordinario lo dico, eh, quindi.. a cui dovremmo dare la medaglia d'oro tutti i giorni che ci alziamo la mattina; però io aspirerei a uno Stato di questo tipo che ricava le risorse distribuendo in maniera migliore; questa è la sintesi; e ripeto: ci siamo forse appiattiti in questi anni, lo dico, su preconcetti e sentenze - perché ovviamente poi queste fanno parte della vita giuridica - e probabilmente un dibattito serio, politico, che poi può essere permeato dentro la giurisprudenza vera, può essere utile all'obiettivo che credo tutti abbiamo: quello di uno Stato più equo ed un rapporto tra le generazioni più serio e che permette di avere una prospettiva e una fiducia rispetto al futuro anche a un pezzo del paese che oggi sceglie di fare scelte diverse: di andare in altri stati oppure di costruire una tipologia di famiglia meno proiettata al futuro e forse con un po' più di paura. Grazie.


Teresa Piccione (PD):

Certo il tema è di grandissima attualità; io ho ascoltato con attenzione gli interventi, anche la relazione, e in particolare mi riconoscono nell'intervento della collega Fabbri: penso che i principi di equità e di non discriminazione a cui la modifica dell'articolo 38 si riferisce siano già implicite nel testo costituzionale, a partire dall'articolo 3, e quindi non mi sembra che modificare l'articolo 38 implichi una cogenza diversa da quella che noi come legislatori ci dovremmo già porre soprattutto in una condizione come questa.
Ho una preoccupazione: che quando si rivisita questa materia i numeri - perché noi siamo molto, diciamo, propensi, portati a pensare ovviamente alle pensioni d'oro o ai vitalizi, o a tutto quello che ci pare particolarmente ingiusto nel sistema pensionistico italiano - ma il ritoccare quelle cifre sicuramente non mette in equilibrio il sistema e non garantisce l'equità che vorremmo raggiungere neanche fra le generazioni; allora temo, temo che i provvedimenti a cui poi nella concretezza noi dovremmo accedere vadano a intaccare proprio delle pensioni che non sono affatto d'oro, ma che nella media italiana sono addirittura basse; e allora io non credo che per stabilire l'equilibrio fra le generazioni noi dobbiamo immaginare un ripensamento del pregresso, tranne che in prelievi di solidarietà che possono anche crescere, ma penso che dobbiamo invece trovare nello sviluppo nuovo - come stiamo provando faticosamente a fare  e in una aumentata produttività del paese - tutto quello che adesso crea questa grande differenza fra le generazioni; perché è nel lavoro vero che poi si produce anche la possibilità di una pensione vera e di un versamento adeguato, da parte del datore di lavoro e da parte dello stesso lavoratore; allora penso che lo sforzo deve essere a 360° e non può essere limitato solamente a uno sguardo relativo alla tenuta dei conti e della sostenibilità del sistema pensionistico.


Andrea Mazziotti, Presidente:

Grazie. Dunque, prima di ridare la parola al Presidente Boeri, io avevo, diciamo, un commento... richiesta di conferma, perché in realtà - come qualcuno ha detto - il tutto è impostato, compresi alcuni interventi, sul passato: io credo che uno dei problemi fondamentali sia quello del futuro; nel senso che, oltre agli interventi sul passato e su pensioni d'oro e quant'altro che io continuo a sostenere che sono del tutto costituzionali, ma questa è la mia personale opinione - ho avuto spesso commenti non proprio positivi sulle sentenze della Corte - ma il punto è quello  - e su cui chiederei una conferma.. la mia domanda è diretta al presidente Boeri perché ha accennato prima - quello che è il vero tema è, l'aveva detto prima, quando si fa una riforma pensionistica e si interviene in materia pensionistica l'arco temporale che si analizza per gli effetti è decennale, se ho capito bene. Ora la finalità - e qui parlo dell'intenzione di uno dei legislatori, cioè del proponente - è quella che non sia così: cioè io credo che non è concepibile che un Parlamento legiferi in materia pensionistica introducendo un sistema e si faccia fare l'analisi sui prossimi 10 anni; perché si stanno spendendo i soldi di chi arriva l'undicesimo anno, lo dico in un certo senso; quindi dire che non serve, può darsi che l'articolo 3 già lo preveda - poi ne parleremo in discussione ampiamente - sicuramente non viene applicato, perché se io oggi guardo i prossimi 10 anni per una riforma pensionistica che vale per tutte le prossime generazioni - di quelli che andranno in pensione dall’11° anno in poi me ne sto infischiando sostanzialmente; ed è quella la finalità fondamentale; che poi da quello uno possa intervenire... però volevo avere la conferma che sia questo l'arco temporale esaminato e che vi chiedono.. perché poi, diciamola, alla fine i dati da voi arrivano quando vengono fatte queste analisi. 


Tito Boeri, Presidente INPS:

Grazie. Io ringrazio gli onorevoli Fiano, Cecconi, Gasparini, Fabbri, Calabria, De Menech, Piccione, per le vostre domande che mi permettono anche di chiarire alcuni aspetti che nella mia relazione introduttiva sono stati probabilmente affrontati in modo eccessivamente celere.
Una domanda ricorrente, mi sembra riguardi se questo provvedimento, se questa proposta di legge possa rendere più facile il cammino di provvedimenti, di misure che vadano ad operare retroattivamente sui trattamenti pensionistici in essere: ecco, io non sono un costituzionalista, quindi non posso che riferirvi quello che costituzionalisti, con cui mi sono consultato, hanno interpretato sia questa proposta di legge sia altre proposte in passato che affrontavano il tema, e il giudizio che io ho ricevuto a riguardo, è che questa proposta è tutto sommato neutra su questo aspetto; o se vogliamo essere ancora più espliciti vorrei, dire che le proposte che noi avanzavano in quel documento “Non per cassa, ma per equità”, che se vi ricordate, erano delle proposte che andavano ad applicare il principio contributivo retroattivamente alle pensioni al di sopra di un certo importo - un importo elevato, allora si parlava di 5000 euro - e poi applicavano lo stesso principio anche ai vitalizi, ecco, queste proposte erano compatibili con i pronunciamenti - con la Carta Costituzionale esistente a quell'epoca - della Corte Costituzionale, perché la Corte Costituzionale, anche in altre occasioni, si era pronunciata richiamando gli interessi di livello costituzionale e aveva solo detto che non avrebbe ritenuto adeguati degli interventi che fossero apparsi come arbitrari e irrazionali; lì si applicava lo stesso principio alle pensioni future, ai trattamenti in essere al di sopra di un certo importo e ai vitalizi; quindi era chiaramente un trattamento che non era discriminatorio, al contrario tendeva a ridurre queste discriminazioni; quindi questa proposta di legge non incide sulla possibilità di attuare quelle norme, tanto sia per quanto riguarda le prestazioni pensionistiche propriamente dette che i vitalizi.
Tra l'altro, se mi permettete, dato che proprio in questa commissione avevamo presentato delle stime dell'impatto di diversi provvedimenti sui vitalizi, lasciatemi dire soltanto che so che la discussione su queste proposte attualmente è in qualche modo ferma, perché c'è un'attesa di relazioni tecniche - tra l'altro, ecco, mi chiedo in che misura siano richieste delle relazioni tecniche su un provvedimento di riduzione della spesa: normalmente relazioni tecniche sono per provvedimenti che aumentano la spesa - in ogni caso voglio confermarvi che l'Inps non solo ha formulato allora delle stime, ma è disponibile a formularvi delle vere e proprie relazioni tecniche nel momento in cui il Parlamento ci trasmettesse i dati degli estratti conti, diciamo contributivi, dei parlamentari; quindi noi siamo prontissimi a farmi queste relazioni in pochissimo tempo se sono necessarie per far avanzare quella discussione.
Comunque ripeto: non è questo, credo, l’obiettivo di questa proposta di legge.
Per quanto riguarda gli altri aspetti che mi sono stati segnalati: io credo che invece effettivamente questa proposta di legge possa avere il vantaggio di allungare l'orizzonte in cui si discutono provvedimenti che sono di una certa rilevanza e che hanno un impatto rilevante sulle generazioni future; ovviamente quelli in materia previdenziale hanno queste caratteristiche per definizione, ma potenzialmente ce ne sono essere in altre aree: pensiamo per esempio a provvedimenti di natura ambientale o altre che cambiano, diciamo, anche l'articolazione del territorio,.. molti, molti temi possono avere…; credo che specificamente nel campo della spesa sociale sia molto importante utilizzare questa nozione che noi ci sforziamo di introdurre nel confronto pubblico di debito implicito, che guarda proprio a cosa i singoli provvedimenti vengono a porre sulle generazioni future in termini di oneri e di debiti; su questo chiarisco anche all'onorevole Fiano che io semplicemente ho qui presentato alcune... a titolo esemplificativo, delle simulazioni che abbiamo fatto a partire dalle proposte di “Non per cassa, ma per equità” e alcune proposte che erano allora in discussione, cioè l'idea, per esempio, di, in qualche modo, permettere una uscita anticipata - c'erano delle proposte in questo senso anche in discussione al Parlamento - questo esercizio documenta molto chiaramente che alcune proposte, che nell'immediato hanno un impatto molto limitato sui conti pubblici, a lungo andare invece hanno degli effetti molto pronunciati sul debito che dovrà essere poi ripagato dalle generazioni future; quindi, guardare al debito implicito è molto importante perché è proprio il modo di allungare l'orizzonte delle decisioni pubbliche.
Altra domanda riguardava se la scuola era inclusa nei conti sulla spesa per generazione: no, non è inclusa. Qui stiamo affrontando qui soltanto le prestazioni sociali erogate dall'Inps, quindi soltanto le prestazioni che noi governiamo. 
Consideriamo il REI? No, perché il REI non è ancora una misura che è stata introdotta nel nostro ordinamento; c'è un decreto che è stato approvato e varato dal governo, ma dovrà ancora entrare in esecuzione; si prevede che sarà in vigore a partire dal 2018. Peraltro mi chiedete se questo potrà cambiare: io penso di sì perché quello va nella direzione di riequilibrare la spesa, e di guardare al problema della povertà, al contrasto della povertà, probabilmente non risolve ancora il problema, essendo uno stanziamento ancora molto limitato; essendoci anche molte condizioni categoriali in quel provvedimento che ne ridurranno... comunque questo è un aspetto su cui magari possiamo tornare in modo molto più approfondito in seguito.
Mi si chiedeva anche in che misura il fatto di aumentare l'età pensionabile sulla base della aspettativa di vita possa in qualche modo spiazzare la possibilità di coinvolgere gli anziani in attività socialmente utili come quelle legate all’associazionismo o al problema della cura delle persone non autosufficienti: sicuramente ritengo che gli anziani e i pensionati stiano dando un contributo fondamentale nel nostro Paese ad affrontare questi problemi; e ci sia un livello di coinvolgimento importante degli anziani in Italia nell'associazionismo - noi siamo molto indietro nel coinvolgimento delle persone rispetto ad altri paesi nell'avere persone con più di 65 anni che lavorano, che sono tutt'ora attive - ma sul piano invece del coinvolgimento dell'associazionismo abbiamo dei dati positivi; tuttavia credo che il problema della non-autosufficienza, se questo è il tema.., non possa essere affrontato unicamente ricorrendo alla cura informale dei familiari, perché le nostre famiglie diventano sempre più piccole, perché lasceremmo fuori delle ampissime fette di popolazione che non hanno avuto magari dei figli, senza alcun tipo di assistenza, e perché il problema è destinato a diventare molto più importante con l'invecchiamento della popolazione. Abbiamo bisogno quindi di programmi formali di contrasto alla, diciam, a questo problema di aiuto alle persone non autosufficienti e dovremmo investire più risorse - noi stimiamo che la spesa per la non-autosufficienza sia destinata a raddoppiare nei prossimi 30 anni - e quindi proprio per trovare spazio in un paese che ha un forte debito pubblico, è presumibile che noi non possiamo che affrontare questo tema riequilibrando un po' la nostra spesa sociale; che appunto vuol dire per esempio anche richiedendo, per certi aspetti, agli stessi pensionati un contributo alle spese per la non-autosufficienza, perché gli stessi pensionati sono una popolazione fortemente a rischio da questo punto di vista.


Registrazione della Audizione Informale del Presidente dell'INPS, Tito Boeri, in Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati, in relazione alla proposta di legge Mazziotti di Celso e abbinati, recante modifica all'articolo 38 della Costituzione per assicurare l'equità intergenerazionale dei trattamenti previdenziali e assistenziali.

link video web.tv Camera dei Deputati

venerdì 23 giugno 2017

Perché la crisi.

Nella prima parte dei nostri Sofismi Pensionistici abbiamo accennato all'unico sofisma che riteniamo in qualche modo vero, anche se non giustificativo del problema pensionistico: il basso Pil italiano.
"Certo, se l'Italia avesse avuto una crescita diversa, specie negli ultimi anni..", sicuramente il problema della Rapina Pensionistica (e tanti altri) sarebbe ben diverso.
Ma questi 'se' non hanno più valore di quello ben noto della nonna con le ruote, che, a seconda delle versioni, diventa calesse, carriola, bicicletta o altro.

La questione però ci riporta quasi all'inizio delle nostre discussione, e, precisamente, qui. Alla notte che non è ancora passata.

Abbiamo dichiarato fin dall'inizio lo scopo di questo blog, o meglio di queste 'lettere': dimostrare che lo stato è una associazione a delinquere. O meglio, dimostrare che l'unica chiave interpretativa capace di spiegare completamente e efficacemente lo stato, il suo operato, le sue azioni, è proprio questa: considerarlo come una associazione a delinquere, anzi, la più pericolosa delle associazioni a delinquere: l'unica capace di trasformare il delitto, qualunque delitto, in legge. L'unica che possiede il monopolio della violenza (verità ben nota a molti, e affermata apertamente, spesso senza comprenderne però la reale portata).

Ma in tutte le nostre lettere, finora, ci siamo concentrati solo sull'azione 'redistributiva' dello stato, di quanto riesce a fare, e ha fatto, direttamente e indirettamente, attraverso la tassazione e la spesa pubblica.
Abbiamo parlato quindi abbondantemente della Rapina Pensionistica, e delle varie truffe in essa contenute; abbiamo parlato della truffa del debito pubblico, etc..

Ma è venuto il momento di tornare a parlare di produzione, invece che di distribuzione.
Del motivo, o dei motivi, della 'crisi'.

Perché l'Italia non sembra più capace di creare ricchezza, crescita, benessere?

Su questo argomento si sentono, da tempo, le tesi più disparate (e disperate).
C'è chi dà la colpa all'Euro, e chi gli attribuisce invece solo meriti.
Chi vede il problema nella globalizzazione, e chi, di nuovo, in questa riconosce solo una opportunità.
Per alcuni è colpa delle tasse, per altri del costo del lavoro, o della bassa produttività.
Per altri è colpa degli stranieri, per altri sono l'unica 'cura'.
Per alcuni il problema sta nella 'sovranità monetaria' perduta.

Insomma, le tesi sono molte.Vedremo di affrontarle e discuterle.

Qui, ora, ci limiteremo a ridefinire il problema, perché non credo sia veramente chiaro.

Le crisi.




Riproduciamo qui sopra un grafico già usato tempo fa, preso dal blog vincitorievinti.com (aggiornato all'ultima versione), in cui è mostrato l'andamento del Pil italiano (come indice), a partire dal 2008, rispetto a quello dei maggiori paesi industrializzati (G7 ed media Eurozona).
Il grafico racconta molto bene, senza troppe parole la realtà della 'crisi' italiana.

L'economia moderna (quella seguente alla rivoluzione industriale, per intenderci), ci ha ormai abituati a periodi di crisi, che si alternano periodi di crescita.
Ma, tranne qualche rara eccezione, quelle che chiamiamo crisi sono quasi sempre solo fasi di rallentamento, o brevi inversioni di marcia, in un processo di continua crescita che perdura ormai da un paio di secoli.



Vere 'crisi' furono quelle conseguenti ai periodi bellici, o quella famosissima del '29.
Ma la 'crisi' italiana ha caratteristiche diverse.

Si fatica a trovare un paese che abbia registrato nel corso della sua storia una "crisi" simile a quella che sta vivendo l'Italia (e qualche altro paese), eccezion fatta, come detto, per quelle belliche.


Forse gli unici paesi che mostrano somiglianze con la situazione italiana sono Portogallo, Spagna, Grecia e Irlanda (i cosiddetti Piigs); anche loro hanno vissuto una 'crisi' del tutto anomala negli ultimi anni.


Ma a ben vedere questa somiglianza lascia trasparire profonde differenze.
Gli altri Piigs hanno avuto crescite molto accelerate prima della crisi.
Per l'Italia non è vero nemmeno questo: La 'crisi' ha solo peggiorato una crescita già molto lenta.

Come abbiamo già evidenziato, in altro articolo, la 'crisi' italiana, a conti fatti è anche peggiore di quella del '29 in america.



Certo, lì il crollo delle attività fu vertiginoso, ma la ripresa si concretizzò in pochissimi anni (anche se lasciò conseguenze per diverso tempo).
Oggi, dopo quasi 10 anni di 'crisi', siamo ben lontani dal recuperare i livelli di produzione (e quindi di redditi e consumo) pre-crisi, come mostra chiaramente il grafico di Vincitori e Vinti sopra.


L'economia italiana vive quindi, da quasi 10 anni, un periodo di profonda 'anomalia', sembriamo essere tornati a livelli di crescita 'pre-rivoluzione industriale'.
E non riusciamo a trovare nemmeno una spiegazione.

La cosa singolare è che questa situazione sembra essere ormai entrata nell'ordine naturale delle cose, per molti.
La crisi americana del '29, per esempio, segnò profondamente quel paese; quel periodo fu a lungo investigato, studiato, raccontato, dalla cultura, dalla letteratura, dall'arte, dal cinema...
Nulla di tutto questo avviene in Italia. Certo, i giornali e la politica ne parlano continuamente, e forse solo per comprare consenso, ma sembra che a una buona fetta della popolazione italiana, della situazione attuale e dei problemi di molti, importi molto poco.
Questa è l'impressione generale.


Nelle prossime 'lettere' quindi, cercheremo di investigare meglio questa anomalia, discutendo le varie teorie che cercano di spiegare, e al contempo, di risolvere, la crisi italiana.

giovedì 15 giugno 2017

Equità tra generazioni - 1

Tempo fa ci siamo occupati di questa conferenza: I Millennials, e, all'interno di questa, avevamo segnalato una iniziativa di legge per "cambiare l’art.38 della Costituzione per un sistema più equo e più favorevole ai giovani" (vedi progetto).

Nelle scorse settimane, il progetto è arrivato, finalmente, ad una prima discussione alla Camera, più precisamente alla Prima Commissione (Affari Costituzionali).

Abbiamo già espresso i nostri dubbi a riguardo: se qualche legislatore che siede alla Camera dei Deputati, riconoscere - come fanno apertamente i proponenti di questa riforma - un grave problema generazionale relativo al sistema pensionistico, non presentare poi alcuna legge di riforma diventa un controsenso. Una modifica alla Costituzione, infatti, potrà forse "ribadire un principio", ma non avrà alcun valore giuridico: non sarà certo un nuovo articolo 38 a cambiare il sistema pensionistico italiano: può farlo solo una legge ordinaria, una riforma vera e propria.
Le ingiustizie non si riducono a suon di 'principi', si riducono solo con i fatti. E in Parlamento, giusto o sbagliato che sia, i fatti sono le Leggi.

Nonostante queste nostre riserve, visto che ci siamo occupati spesso di pensioni (e continueremo a farlo), e visto che di pensioni, in quelle sedi, si parla veramente poco, vogliamo approfittare di questa rara occasione; Seguiremo quindi questa iniziativa, e cercheremo pertanto di riportare tutte le discussioni su questo progetto.


qui potrete leggere il resoconto completo della prima seduta (la discussione di questo progetto è in fondo).

E qui riportiamo la discussione su questo progetto, buona lettura:

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Modifica all’articolo 38 della Costituzione per assicurare l’equità intergenerazionale nei trattamenti previdenziali e assistenziali. C. 3478 cost. Mazziotti di Celso e C. 3858 cost. Preziosi. 

(Esame e rinvio). 

La Commissione inizia l’esame del provvedimento. 

Andrea MAZZIOTTI DI CELSO, presidente e relatore, fa presente che le proposte di legge costituzionali C. 3478 (Mazziotti di Celso ed altri) e C. 3858 (Preziosi ed altri) intervengono sull’articolo 38 della Costituzione. In particolare, la proposta C. 3478, sottoscritta da circa 35 deputati di maggioranza e opposizione, sostituisce interamente il quarto comma dell’articolo 38 della Costituzione e stabilisce che gli obblighi, per gli organi e gli istituti predisposti (o integrati dallo Stato), derivanti dai compiti di tutela individuati dall’articolo stesso, debbano essere adempiuti secondo principi di equità, ragionevolezza e non discriminazione tra le generazioni. La proposta C. 3858 inserisce, invece, un nuovo comma (dopo il secondo comma) all’articolo 38 della Costituzione, ai sensi del quale si dispone che il sistema previdenziale debba essere improntato ad assicurare l’adeguatezza dei trattamenti, la solidarietà e l’equità tra le generazioni nonché la sostenibilità finanziaria. Prima di passare all’esame delle proposte di legge, sono opportuni alcuni accenni al quadro sociale ed economico in cui si inseriscono, anche in prospettiva comparata, fornendo alcuni dati significativi. Come spiegato dal rapporto OCSE « Society at a Glance 2016 », diffuso lo scorso ottobre, l’Italia spende il 29 per cento del PIL in protezione sociale pubblica, la quarta quota più alta fra i paesi OCSE a fronte di una media del 22 per cento del PIL. La spesa pensionistica assorbe il 16 per cento del PIL, la quota più alta fra i paesi OCSE. Una percentuale che potrà sicuramente ridursi a fronte di un aumento del PIL, ma che, anche in vista del crescente invecchiamento demografico, porterà necessariamente a riformare la spesa nella direzione di una maggiore sostenibilità ed equità. Secondo dati INPS, al netto delle gestioni dei dipendenti pubblici e della gestione ex ENPALS, le pensioni vigenti al primo gennaio 2017 sono poco più di 18 milioni (di cui 14 milioni di natura previdenziale e non assistenziale) per un importo complessivo annuo pari a 197,4 miliardi di euro (di cui 176,8 sostenuti dalle gestioni previdenziali). Pare opportuno sottolineare come negli anni in cui l’età pensionabile è aumentata, il numero delle pensioni liquidate di vecchiaia sia diminuito. In particolare nel 2016 le pensioni di vecchiaia sono diminuite del 18 per cento rispetto a quelle liquidate nel 2015. Ciononostante, una percentuale rilevante di pensionamenti avviene però ancora prima dei 60 anni. Oltre alle differenze profonde tra le diverse aree del paese (il 48 per cento di prestazioni pensionistiche è concentrato nell’Italia settentrionale, il 19,2 al Centro, il 30,6 per cento al Sud e nelle isole; il restante 2,2 per cento a soggetti residenti all’estero), si fa sentire anche il peso del divario di genere: il 76,5 per cento delle prestazioni pensionistiche per le donne ha un importo inferiore a 750 euro, mentre per gli uomini questa percentuale crolla al 45,1 per cento. A questa fotografia statica e sincronica vanno affiancate alcune considerazioni dinamiche e diacroniche che accomunano la visione – se non la preoccupazione – di fondo dei proponenti. Il nostro sistema pensionistico soffre oggi il peso di tre fattori concomitanti: la bassa età effettiva di uscita dal mercato del lavoro (la quarta più bassa dell’OCSE), il bassissimo tasso di occupazione per i lavoratori tra i 60 e i 64 anni (il 26 per cento, contro una media OCSE del 45 per cento, che potrebbe crescere con l’aggiunta di una quota di pensionati anticipati dopo l’entrata in vigore dell’APE sociale) e il  fatto che ancora oggi molti pensionati ricevano pensioni generose, nonostante un basso livello di contributi versati. A ciò si aggiungano le carriere lavorative e dunque contributive instabili o scarsamente remunerative dei più giovani che rischiano di non maturare i requisiti minimi per la pensione contributiva anche dopo anni di contributi elevati. Il presidente dell’INPS ha addirittura ipotizzato che i trentenni di oggi potrebbero essere costretti ad andare in pensione a 75 anni per ricevere, se matureranno i requisiti, una pensione inferiore del 25 per cento rispetto a quanto ricevono i pensionati di oggi. Esiste insomma un fortissimo rischio di discriminazione in danno delle generazioni più giovani, per le quali il versamento dei contributi rischia di risolversi in una tassazione a fondo perduto oggi, piuttosto che uno strumento di costruzione della propria rete di protezione sociale per quando concluderanno la loro vita lavorativa. Le proposte in questione intendono porre al centro dell’attenzione politica la tematica della non discriminazione tra generazioni. E a questo fine i proponenti propongono dei semplici interventi costituzionali per scolpire nella Carta costituzionale un principio che protegga le prossime generazioni da politiche – che abbiamo visto troppe volte nel passato – che scarichino sui figli i costi di nonni e padri. Si ricorda che l’articolo 38 della Costituzione sancisce il diritto di ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere al mantenimento e all’assistenza sociale (primo comma). Lo stesso articolo, allo stesso tempo, riconosce ai lavoratori il diritto a specifiche misure di tutela previdenziali e di sicurezza sociale (in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria), nonché all’educazione e all’avviamento professionale (secondo e terzo comma). Spetta agli organi ed istituti all’uopo predisposti o integrati dallo Stato garantire le funzioni ed i compiti richiamati (quarto comma). Infine, si sancisce la libertà dell’assistenza privata (quinto comma). Passando a una disamina dei principi vigenti nella materia oggetto delle due proposte di legge, si sottolinea che le politiche in materia pensionistica sono state improntate all’esigenza di garantire la sostenibilità di lungo periodo del sistema e si sono progressivamente sviluppate nel corso della legislatura attraverso una serie di provvedimenti (decreti-legge n. 78 del 2009, n. 78 del 2010 e n. 201 del 2011) che hanno previsto, in particolare, l’aggancio automatico dell’età pensionabile all’incremento della speranza di vita, il posticipo della decorrenza dei trattamenti pensionistici (cosiddette finestre) e, da ultimo, un generale incremento dei requisiti pensionistici. Il sistema pensionistico in Italia è stato sostanzialmente modificato dall’articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011 (cosiddetta riforma Fornero) che ne ha attuato una revisione complessiva. Si ricorda che negli ultimi anni il legislatore è intervenuto ripetutamente sui trattamenti previdenziali di importo più elevato attraverso contributi di solidarietà che consiste in un prelievo straordinario effettuato su redditi che superano un determinato importo. La Corte costituzionale, con la sentenza 173 del 2016 ha respinto le varie questioni di costituzionalità relative a quest’ultimo contributo di solidarietà, escludendone la natura tributaria e ritenendo che si tratti di un contributo di solidarietà interno al sistema previdenziale, giustificato in via del tutto eccezionale dalla crisi contingente e grave del sistema stesso. La Corte ha anche ritenuto che tale contributo rispetti il principio di progressività e, pur comportando innegabilmente un sacrificio sui pensionati colpiti, sia comunque sostenibile in quanto applicato solo sulle pensioni più elevate (da 14 a oltre 30 volte superiori alle pensioni minime). Con riferimento all’opportunità di inserire in Costituzione un esplicito riferimento all’equità tra generazioni, si ricorda  che nel corso della XVI legislatura la Camera aveva approvato un progetto di legge costituzionale finalizzato a promuovere la partecipazione dei giovani alla vita politica, economica e sociale e che introduceva nella Carta costituzionale il principio dell’equità intergenerazionale (A.C. 4358 – A.S. 2921). Il Senato non ha poi concluso l’esame del testo. Quanto al rispetto degli altri princìpi costituzionali, la Carta costituzionale non contiene riferimenti al principio di equità intergenerazionale, né, più in generale, disposizioni che estendano l’attribuibilità personale di diritti costituzionali esistenti alle future generazioni. Per quanto riguarda la giurisprudenza costituzionale, il riferimento alle future generazioni è stato finora utilizzato dalla Corte costituzionale innanzitutto in materia ambientale, con riferimento all’individuazione del contenuto della « tutela dell’ambiente », materia affidata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione. In particolare, nel chiarire che la tariffa del servizio idrico è ascrivibile, « in prevalenza, alla materia « tutela dell’ambiente », nella sentenza n. 246 del 2009, la Corte afferma che « attraverso la determinazione della tariffa, il legislatore statale ha fissato livelli uniformi di tutela dell’ambiente, perché ha inteso perseguire la finalità di garantire la tutela e l’uso, secondo criteri di solidarietà, delle risorse idriche, salvaguardando la vivibilità dell’ambiente e « le aspettative ed i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale » (richiamata in sent. nn. 29 e 142 del 2010, n. 67 del 2013). Nella sentenza n. 288 del 2012 la Corte afferma che lo Stato, nell’esercizio della competenza esclusiva di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, nell’apprestare cioè una « tutela piena ed adeguata », capace di assicurare la conservazione dell’ambiente per la presente e per le future generazioni, può porre limiti invalicabili di tutela. Più di recente, si segnala che con la sentenza n. 88 del 2014 la Corte ha riconosciuto il nuovo principio della sostenibilità del debito pubblico quale responsabilità nei confronti delle generazioni future: secondo la Corte, in particolare, i nuovi princìpi introdotti dalla legge costituzionale n. 1 del 2012 sul pareggio di bilancio e, in particolare, quello della sostenibilità del debito pubblico, implicano una responsabilità che, in attuazione dei principi costituzionali « fondanti » (sentenza n. 264 del 2012) di solidarietà e di eguaglianza, non è solo delle istituzioni ma anche di ciascun cittadino nei confronti degli altri, ivi compresi quelli delle generazioni future. Nel rigettare l’impugnazione delle norme che prevedono il concorso degli enti locali al risanamento della finanza statale, la Corte ravvisa la ragion d’essere di tali disposizioni in quel complesso di princìpi costituzionali, in particolare in quelli di solidarietà e di eguaglianza, « alla cui stregua tutte le autonomie territoriali, e in definitiva tutti i cittadini, devono, anche nella ricordata ottica di equità intergenerazionale, essere coinvolti nei sacrifici necessari per garantire la sostenibilità del debito pubblico ». Per quanto riguarda la giurisprudenza costituzionale in materia previdenziale, con riferimento ai principali profili della materia (natura dei contributi previdenziali, adeguatezza delle prestazioni ai sensi dell’articolo 38 della Costituzione, limitazione di benefici precedentemente riconosciuti e conseguente discrezionalità del legislatore, tutela dell’affidamento dei singoli e sicurezza giuridica) essa riflette, sostanzialmente, l’evoluzione della legislazione pensionistica, segnata dall’inversione di tendenza operata a partire dalla metà degli anni ’80 a fronte dell’esplosione della spesa e della necessità di garantire la sostenibilità di lungo periodo del sistema. Negli anni ’60 e ’70 la Corte è impegnata soprattutto nel tentativo di dare razionalità a un quadro normativo assai complesso e articolato (ereditato in parte dalla legislazione fascista), che si caratterizza per le numerose sentenze « additive » (le cosiddette « sentenze che costano ») con le quali, assumendo a parametro l’articolo  3 della Costituzione (principio di uguaglianza formale e sostanziale), si procede ad adeguare le normative meno favorevoli a quelle più favorevoli, livellando verso l’alto prestazioni e benefici (tra le tante: sentenze n. 78 del 1967; n. 124 del 1968; n. 5 del 1969; n. 144 del 1971, n. 57 del 1973 e n. 240 del 1994). Per quanto concerne, specificamente, la possibilità per il legislatore di modificare in senso peggiorativo i trattamenti pensionistici, la giurisprudenza di questo periodo (sentenze n. 26/80 e n. 349/85), facendo leva sugli articoli 36 e 38 della Costituzione, porta sostanzialmente a ritenere che il lavoratore abbia diritto a « una particolare protezione, nel senso che il suo trattamento di quiescenza, al pari della retribuzione percepita in costanza del rapporto di lavoro, del quale lo stato di pensionamento costituisce un prolungamento ai fini previdenziali, deve essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro prestato e deve, in ogni caso, assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia mezzi adeguati alle esigenze di vita per una esistenza libera e dignitosa ». A tale riguardo la Corte precisa, in particolare, che « proporzionalità e adeguatezza alle esigenze di vita non sono solo quelli che soddisfano i bisogni elementari e vitali ma anche quelli che siano idonei a realizzare le esigenze relative al tenore di vita conseguito dallo stesso lavoratore in rapporto al reddito ed alla posizione sociale raggiunta ». A partire dalla metà degli anni ’80, la Corte fornisce il proprio contributo per invertire le spinte espansionistiche insite nel sistema, valorizzando il principio del bilanciamento complessivo degli interessi costituzionali nel quadro delle compatibilità economiche e finanziarie. Già nelle sentenze n. 180 del 1982 e n. 220 del 1988 la Corte afferma il principio della discrezionalità del legislatore nella determinazione dell’ammontare delle prestazioni sociali tenendo conto della disponibilità delle risorse finanziarie. Le scelte del legislatore volte a contenere la spesa (anche con misure peggiorative a carattere retroattivo) vengono tuttavia censurate dalla Corte laddove la normativa si presenti manifestamente irrazionale (sentenze n. 73 del 1992, n. 485 del 1992 e n. 347 del 1997). Quanto alla natura dei contributi previdenziali, la Corte, pur con una giurisprudenza non sempre lineare (frutto del compromesso tra la logica mutualistica e quella solidaristica che, allo stesso tempo, informano il nostro sistema previdenziale), ha affermato che « i contributi non vanno a vantaggio del singolo che li versa, ma di tutti i lavoratori e, peraltro, in proporzione del reddito che si consegue, sicché i lavoratori a redditi più alti concorrono anche alla copertura delle prestazioni a favore delle categorie con redditi più bassi »; allo stesso tempo, però, per quanto i contributi trascendano gli interessi dei singoli che li versano, « essi danno sempre vita al diritto del lavoratore di conseguire corrispondenti prestazioni previdenziali », ciò da cui discende che il legislatore non può prescindere dal principio di proporzionalità tra contributi versati e prestazioni previdenziali (sentenza n. 173/1986; si vedano anche, a tale proposito, le sentenze n. 501/1988 e n. 96/1991). Per quanto concerne i trattamenti peggiorativi con effetto retroattivo, la Corte ha escluso, in linea di principio, che sia configurabile un diritto costituzionalmente garantito alla cristallizzazione normativa, riconoscendo quindi al legislatore la possibilità di intervenire con scelte discrezionali, purché ciò non avvenga in modo irrazionale e, in particolare, frustrando in modo eccessivo l’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulla normativa precedente (sentenze n. 349/1985, n. 173/1986, n. 822/1998, n. 211/1997, n. 416/1999). Per quanto concerne, specificamente, la giurisprudenza costituzionale relativa ai contributi di solidarietà sulle pensioni di importo elevato, si segnala, in primo luogo, la sentenza n. 146 del 1972, con cui la Corte ha rigettato la questione di costituzionalità dell’articolo unico della legge n. 369 del 1968, che introduceva un contributo di solidarietà progressivo (16 per  cento fino a 12 milioni; 32 per cento da 12 a 18 milioni; 48 per cento oltre 18 milioni), a carico dei trattamenti previdenziali superiori a 7.200.000 lire, finalizzato a contribuire all’istituzione delle pensioni sociali. In tale occasione la Corte osservava che la legittimità del contributo, di cui evidenziava il carattere tributario in forza della progressività delle aliquote e dall’assenza di limiti temporali, si legava al nesso teleologico tra il contributo medesimo e « la destinazione del relativo provento alla realizzazione di un interesse pubblico, quale la collaborazione all’apprestamento dei mezzi per l’attuazione di quel principio generale di sicurezza sociale, sancito dal primo comma dell’articolo 38 della Costituzione, cui è appunto informata la istituzione delle pensioni sociali ». Chiamata a pronunciarsi nuovamente sulla stessa disposizione legislativa, con la sentenza n. 119/1981 la Corte, prendendo atto che nel frattempo il legislatore, dando attuazione all’articolo 53 della Costituzione, aveva provveduto ad introdurre un’imposta personale progressiva (IRPEF, introdotta a decorrere dal 1o gennaio 1974), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del contributo di solidarietà limitatamente alla sua applicazione successivamente al 1o gennaio 1974. La Corte osserva che « le pensioni assoggettate alla « ritenuta » sono state, nel biennio che intercorre tra il 1 4 gennaio 1974 (inizio dell’applicazione dell’IRPEF) ed il 1 gennaio 1976 (cessazione dell’efficacia delle disposizioni istitutive del contributo di solidarietà), incise da un duplice prelievo per effetto di due concomitanti imposizioni, la cui progressività, caratteristica di entrambe, non è stata nemmeno coordinata. Appare in conseguenza vulnerato il principio dell’eguaglianza in relazione alla capacità contributiva, sancito dagli articoli 3 e 53 della Costituzione, atteso che, nei confronti dei titolari di altri redditi, e più specificamente di redditi da lavoro dipendente (cui la pensione, ai fini dell’applicazione dell’IRPEF, è assimilata), i titolari delle pensioni su cui si è applicato tanto l’IRPEF quanto la ritenuta a favore del Fondo sociale, sono stati, a parità di reddito e di capacità contributiva, colpiti in misura ingiustificatamente e notevolmente maggiore ». Successivamente, la Corte (ordinanza n. 22/2003, confermata dall’ordinanza n. 160/2007) ha rigettato la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 37 della legge n. 488 del 1999, con cui era stato introdotto, a decorrere dal 1o gennaio 2000 e per un periodo di tre anni, un contributo di solidarietà del 2 per cento sugli importi dei trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie complessivamente superiori a un massimale annuo (123 milioni di lire). Le motivazioni della decisione si fondano sul fatto che le risorse derivanti dal contributo di solidarietà hanno « concorso inizialmente ad alimentare un apposito fondo destinato a garantire misure di carattere previdenziale per i lavoratori temporanei » e, successivamente, sono state « acquisite alle gestioni previdenziali obbligatorie ». La Corte osserva, in particolare, che « il contributo di solidarietà, non potendo essere configurato come un contributo previdenziale in senso tecnico (sentenza n. 421 del 1995), va inquadrato nel genus delle prestazioni patrimoniali imposte per legge, di cui all’articolo 23 della Costituzione, costituendo una prestazione patrimoniale avente la finalità di contribuire agli oneri finanziari del regime previdenziale dei lavoratori (sentenza n. 178 del 2000), con la conseguenza che l’invocato parametro di cui all’articolo 53 della Costituzione deve ritenersi inconferente, siccome riguardante la materia della imposizione tributaria in senso stretto ». La Corte aggiunge, poi, che la scelta discrezionale del legislatore « è stata operata in attuazione dei principi solidaristici sanciti dall’articolo 2 della Costituzione, attraverso l’imposizione di un’ulteriore prestazione patrimoniale gravante solo su alcuni trattamenti previdenziali obbligatori che superino un certo importo stabilito dalla legge, al fine di concorrere al finanziamento dello stesso sistema previdenziale ». La Corte costituzionale è tornata sul tema con la sentenza n. 116/2013, con cui ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 18, comma 22-bis, del decreto-legge n. 98 del 2011, il quale introduceva un contributo di perequazione, a decorrere dal 1o agosto 2011 e fino al 31 dicembre 2014, sui trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie, pari al 5 per cento per gli importi da 90.000 a 150.000 euro lordi annui, del 10 per cento per la parte eccedente i 150.000 euro e del 15 per cento per la parte eccedente i 200.000 euro. La Corte, assumendo che il contributo di solidarietà ha natura tributaria e, quindi, deve essere commisurato alla capacità contributiva ai sensi dell’articolo 53 della Costituzione, ha ritenuto che la disposizione violi il principio di uguaglianza e i criteri di progressività, dando vita ad un trattamento discriminatorio. Secondo la Corte, infatti, « [...] trattasi di un intervento impositivo irragionevole e discriminatorio ai danni di una sola categoria di cittadini. L’intervento riguarda, infatti, i soli pensionati, senza garantire il rispetto dei principi fondamentali di uguaglianza a parità di reddito, attraverso una irragionevole limitazione della platea dei soggetti passivi ». La Corte nell’evidenziare anche come sia stato adottato un criterio diverso per i pensionati rispetto a quello usato per gli altri contribuenti, penalizzando i primi, osserva che « i redditi derivanti dai trattamenti pensionistici non hanno, per questa loro origine, una natura diversa e minoris generis rispetto agli altri redditi presi a riferimento » e che « a fronte di un analogo fondamento impositivo, dettato dalla necessità di reperire risorse per la stabilizzazione finanziaria, il legislatore ha scelto di trattare diversamente i redditi dei titolari di trattamenti pensionistici », con ciò portando a « un giudizio di irragionevolezza ed arbitrarietà del diverso trattamento riservato alla categoria colpita ». La Corte aggiunge, poi, che « nel caso di specie, il giudizio di irragionevolezza dell’intervento settoriale appare ancor più palese, laddove si consideri che la giurisprudenza della Corte ha ritenuto che il trattamento pensionistico ordinario ha natura di retribuzione differita (fra le altre, sentenza n. 30/2004 e ordinanza n. 166/ 2006); sicché il maggior prelievo tributario rispetto ad altre categorie risulta con più evidenza discriminatorio, venendo esso a gravare su redditi ormai consolidati nel loro ammontare, collegati a prestazioni lavorative già rese da cittadini che hanno esaurito la loro vita lavorativa, rispetto ai quali non risulta più possibile neppure ridisegnare sul piano sinallagmatico il rapporto di lavoro ». Infine, con la sentenza n. 173 del 2016 la Corte Costituzionale è intervenuta sul citato contributo di solidarietà (variabile tra i 6 e il 18 per cento), introdotto dalla legge di stabilità 2014 per il triennio 2014-2016 sulle pensioni di importo più elevato, dichiarando le questioni poste non fondate. In particolare la Corte costituzionale ha precisato come: a) il citato contributo di solidarietà nulla ha a che vedere con il precedente contributo perequativo dichiarato costituzionalmente illegittimo; b) il citato contributo non ha natura tributaria ma ha natura di solidarietà previdenziale, restando lo stesso all’interno del sistema previdenziale, in quanto prelevato direttamente dall’INPS e da altri enti previdenziali; c) incidendo sulle pensioni più elevate rispetta il principio di proporzionalità; d) trattasi di misura una tantum e non di misura che alimenta il sistema previdenziale in via definitiva. La Consulta, sempre nella stessa sentenza, ha anche giudicato la conformità al dettato costituzionale della rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici che la citata legge di stabilità 2014 ha  previsto in misura progressivamente decrescente (dal 100 al 40 per cento) in corrispondenza all’importo del trattamento pensionistico, rispettivamente, superiore da tre a sei volte il trattamento minimo INPS, non trattandosi di un blocco ma di una rimodulazione conforme ai principi di proporzionalità e di adeguatezza. 

Andrea MAZZIOTTI DI CELSO, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell’esame ad altra seduta. 

La seduta termina alle 14.35. 

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commento:

Il testo evidenzia in maniera molto chiara alcuni fatti fondamentali:
a) l’attuale discriminazione “il danno delle generazioni più giovani, per le quali il versamento dei contributi rischia di risolversi in una tassazione a fondo perduto oggi, piuttosto che uno strumento di costruzione della propria rete di protezione sociale per quando concluderanno la loro vita lavorativa”

b) la ‘rivoluzionaria presa di coscienza’ delle istituzioni che, negli ultimi anni, dopo circa 70 anni dalla nascita della Repubblica e della Carta Costituzionale, si sono ricordate  che esiste “una responsabilità che, in attuazione dei principi costituzionali « fondanti » (sentenza n. 264 del 2012) di solidarietà e di eguaglianza, non è solo delle istituzioni ma anche di ciascun cittadino nei confronti degli altri, ivi compresi quelli delle generazioni future”.
Traduzione: “ops... forse non possiamo continuare a vivere sulle spalle delle generazioni future. Forse”

c) il continuo teatrino e gioco delle parti (non lo scrive certo Mazziotti, ma è ben evidente), durato 30 anni, tra la politica che continuava a proporre interventi mal costruiti per ottenere qualche finto risparmio e la Corte Costituzionale che regolarmente li bocciava. Teatrino utile soltanto per evitare di fare una vera riforma delle pensioni retributive, e salvare tutti i regali e i benefici distribuiti con compravendita di voti.