venerdì 21 ottobre 2016

A chi è servito il debito pubblico?

Nella 'lettera' riguardante l'analisi della spesa pubblica in base alle sue diverse componenti (funzionali), abbiamo osservato che le principali anomalie italiane derivano dalla spesa pensionistica e dal costo del debito (nonostante i risparmi ottenuti negli ultimi anni).
Nelle ultime due lettere ci siamo occupati della rapina pensionistica (e torneremo sull'argomento in futuro); è venuto quindi il momento di parlare del debito pubblico italiano.
Sarà un post molto lungo, mi scuserete, perché l'argomento lo richiede, anche solo per una analisi molto generica (anche in questo caso, torneremo comunque sull'argomento).

L'ultimo dato aggiornato di Banca d'Italia (agosto 2016) ci informa che il debito pubblico ha ormai raggiunto la quota di 2.225 miliardi. A fine 2015 era arrivato a 2.194,5 miliardi, il 134,8% del Pil.
Questo dato ci colloca nelle prime posizioni mondiali per debito su pil.
Da dove deriva questo debito elevato?


Il problema del debito pubblico in Italia


Quello dell'elevato debito pubblico è un problema 'cronico' dello stato italiano, fin dalla sua nascita; al momento dell'Unità derivava principalmente dalle folli spese militari operate dai Savoia per conquistare il resto d'Italia. Il debito pubblico infatti è stato utilizzato spesso dagli stati per finanziare le proprie guerre (di difesa o di aggressione), ma proprio questo fatto rende ancora più straordinario ed eccezionale l'aumento del debito pubblico avvenuto dopo la seconda guerra mondiale (non solo in Italia).



Nell'immediato dopoguerra, l'eccezionale inflazione di quegli anni riuscì a ridurre il debito al minimo del 24% del pil (1946) (a danno dei creditori dello stato); per circa vent'anni si riuscì a mantenerlo a quel basso livello (anche per la crescita del Pil), ma tornò a crescere a metà degli anni '60: dal 30% del 1965 giunse a poco meno del 60% nel 1978, e poi, con una accelerazione ancora maggiore, fino al 121,8% del 1994. Poi il debito su Pil è ridisceso fino al 99,7% del 2007, ed è tornato a crescere di nuovo con l'inizio della crisi economica (soprattutto per il crollo del pil).

Le due fasi della gestione del debito

Occorre però chiarire subito un punto essenziale, perché si sente spesso molta gente lamentarsi che "il governo continua ad aumentare il debito...e chissà per quale spesa inutile":
Il bilancio pubblico, in epoca "repubblicana", ha sempre operato in disavanzo, ovvero finanziandosi con debito, ma un conto è fare debito per finanziare la spesa vera e propria (primaria), un conto è farlo solo per (ri)pagare quello vecchio; piuttosto che al disavanzo quindi, bisogna guardare al disavanzo o avanzo primario. 
[per disavanzo/avanzo primario s'intende la differenza tra entrate e spese pubbliche quando a queste ultime sono sottratti gli interessi, ovvero il costo del debito].
In questo senso, dal dopoguerra ad oggi, possiamo distinguere due fasi: 


Fino al 1992 la pubblica amministrazione ha finanziato le proprie spese (primarie) con ampi disavanzi primari; dal 1992 invece ha sempre accumulato avanzi primari (ad eccezione del 2009).
Ciò significa che dal 1992 nemmeno un centesimo (o quasi) del debito ha finanziato spesa vera e propria (primaria), il nuovo debito è servito solo per rinnovare quello vecchio e ripagare parte degli interessi. 
Nell'immediato dopoguerra il disavanzo primario della spesa pubblica era attorno al 5% del pil; è poi diminuito fino ad annullarsi nel 1960 (ma senza arrivare a produrre avanzi primari), poi i disavanzi primari sono tornati a crescere finoal massimo del 1975, attorno al 12%; poi sono diminuiti fino a cambiare di segno e diventare quindi avanzi primari nel 1992, come già detto. 
Da questo deriva, ovviamente, un enorme vantaggio per i contribuenti della prima fase, che beneficiavano di una certa spesa pubblica, senza il corrispondente onere fiscale, e un enorme svantaggio invece per i contribuenti della seconda fase, che hanno dovuto pagare pesanti tasse, senza alcun beneficio diretto.
Per meglio valutare il vantaggio ottenuto dai contribuenti nella prima fase, proviamo a valutare i disavanzi primari in rapporto alla spesa pubblica totale invece che al Pil (i dati della spesa pubblica dal 1980 sono quelli Istat, per gli anni precedenti si sono integrati i dati dei bilanci dello stato con quelli degli enti di previdenza; maggiori dettagli su queste stime verranno dati in futuro).



Come si può vedere, nell'immediato dopoguerra il 30% della spesa totale era finanziata in deficit; questa quota si è ridotta fino ad azzerarsi nel 1960 (come già visto), ma è poi tornata a crescere, e nel 1975 la quota di spesa pubblica finanziata dal debito era ancora del 30%. Poi è via via diminuita fino ai primi anni '90. Dal 1992 in poi, come detto, il bilancio dello stato ha invece iniziato ad 'assorbire' tasse per pagare il costo dell'elevato debito fin lì accumulato.
E' ben evidente quindi l'enorme 'alleggerimento fiscale' ottenuto dalla generazione della 'prima repubblica' (la prima fase corrisponde abbastanza bene con questa definizione). Se l'intera spesa pubblica fosse stata finanziata tramite tasse, la pressione fiscale sarebbe dovuta crescere di molto. A titolo di esempio, nel 1975, invece di essere al 20%, avrebbe dovuto essere già al 35%.

Si noti che fino al 1975 disavanzi e disavanzi primari erano molto simili, in quanto la spesa per interessi era molto bassa. Fino a quest'epoca infatti, gli aumenti del debito pubblico, e quindi della spesa pubblica, erano finanziati ampiamente dagli acquisti della Banca d'Italia, attraverso la creazione di denaro (monetizzazione del debito), e dato che la Banca d'Italia 'lavorava per lo stato' era indifferente per lei acquistare debito con tassi d'interessi bassi o anche negativi.
Il quadro è mutato radicalmente quando, a partire dal 1975, per finanziare il debito pubblico, si è fatto sempre più affidamento sul risparmio privato. 

All'interno di questa fase di 'spesa in deficit' (prima repubblica), tra l'immediato dopoguerra e i primi anni '90, potremmo quindi distinguere due ulteriori fasi: una prima fase, per quasi 30 anni, fino al 1975, in cui il deficit era finanziato dalla Banca d'Italia; poi, fino al 1992, in cui il Tesoro si è rivolto al 'pubblico' per coprire, e aumentare, il debito.
I due grafici seguenti, rappresentano un po' meglio le conseguenze di queste diverse fasi.




La prima fase (con la monetizzazione del debito) ha senz'altro permesso un crescita economica molto rapida, ma accompagnata anche da una elevata inflazione.
Proprio per combattere quest'ultima (almeno secondo le dichiarazioni 'ufficiali') dalla metà degli anni '70, l'intervento della Banca d'Italia si è ridotto sempre più, ma non abbastanza.

A cosa è servito il debito pubblico?

Ma quali spese sono state finanziate a deficit?
Visto che i dati relativi alla spesa della pubblica amministrazione completa (e divisi per voci economiche e funzioni) partono solo dal 1980, dobbiamo accontentarci di rispondere alla domanda da questo secondo periodo.
Ci può essere utile partire da questo grafico, che rappresenta le variazioni delle voci principali rispetto al livello del 1980.



La spesa pubblica è cresciuta (rispetto al 1980) molto rapidamente, fino ad un + 18%; le entrate sono cresciute anch'esse, ma solo di un +9%, la metà; il resto è stato finanziato a deficit. 
Nel grafico sono indicati anche la variazione della spesa per interessi, e della spesa pensionistica;  come possiamo vedere da quest'altro grafico infatti, pensioni e interessi rappresentano gli unici aggregati realmente aumentati dal 1980. Gli interessi sono aumentati fino ai primi anni '90, per poi tornare ai livello degli anni '80. Le pensioni sono cresciute continuamente. Il resto della spesa al netto di pensioni e interessi, è rimasta abbastanza costante, attorno al 25% del Pil.




Notando inoltre la somiglianza tra la crescita della spesa per interessi e delle entrate (nel grafico sulle variazioni), potremmo dire che l'aumento delle tasse è servito, fino ai primi anni '90, per pagare gli interessi sempre più alti del debito; il deficit è servito per finanziare gli aumenti della spesa pensionistica. Dopo, l'elevato livello di pressione fiscale è servito per continuare a pagare il costo del debito e la sempre più alta spesa pensionistica.

A chi è servito il debito pubblico?

La spesa a deficit quindi è servita per finanziare principalmente l'aumento della spesa pensionistica, oltre al costo del debito stesso, ma a mio parere non è corretto limitarsi a valutare quale spesa (primaria) è stata finanziata in deficit, considerando invece l'aumento della spesa per interessi solo come uno spiacevole effetto collaterale: a mio parere l'aumento degli interessi era il vero scopo di questa scellerata fase di aumento del debito.
Potrà sembrare una tesi molto ardita, insensata: un costo (del debito) più alto dovrebbe essere contro l'interesse generale e quindi contro l'interesse stesso dello stato. Sarebbe assurdo che lo stato volesse pagare alti interessi.
L'errore di fondo è pensare che la classe politica operi per il benessere generale (per il bene comune, come si suol dire).
La tesi di questo blog, lo ripetiamo, è invece questa: lo stato è una associazione a delinquere, che quindi cerca sempre di distribuire vantaggi, regali, denaro ad un insieme più o meno ampio di cittadini (che potremmo considerare complici, o spesso anche mandanti delle rapine di stato).
L'aumento degli interessi, se da una parte rappresenta un maggior costo per lo stato, per chi li riceve, diventano elevate rendite.
Del resto, la quota di debito utilizzata per coprire spese vere e proprie è molto ridotta in confronto a quella che è servita per pagare interessi, lo vediamo qui. Dobbiamo quindi valutarla nel suo effettivo peso.



Dal 1980 al 1992, l'aumento del debito ha finanziato poco meno di 500 miliardi di euro (a valori del 2014, cumulati), gli interessi pagati (fino al 2012, rivalutati e cumulati) sono invece arrivati a quasi 3500 miliardi.

Lo schema Ponzi del debito

L'aumento del debito pubblico, a partire da metà anni '70, ha funzionato come un enorme schema Ponzi:
Ammettiamo che una persona abbia una certa quantità di risparmi da investire, e che i 'normali' interessi di mercato siano attorno al 3-4%;
Ma arriva un Ponzi che offre ai possibili investitori tassi di interesse molto più elevati, ad esempio del 6-7%; qualcuno deciderà di prestare soldi a Ponzi, anche se all'inizio ci sarà una certa diffidenza; in seguito però la fiducia cresce, perché Ponzi paga effettivamente gli interessi promessi; e come fa? Utilizzando i sempre maggiori capitali che riesce a raccogliere, offrendo interessi più alti. 
Gli interessi pagati da Ponzi derivano quindi solo da questo: dall'aumento progressivo del numero degli investitori, non da migliori investimenti che Ponzi fa con quel capitale.
Ma per attirare sempre più investitori, per sostenere il sistema, Ponzi dovrà offrire tassi sempre più alti.
Ad un certo punto però il sistema diventa insostenibile, e Ponzi scappa con la cassa.
E gli investitori perdono quasi tutto, o quasi.

Col debito pubblico si è fatto qualcosa di molto simile, con la differenza che gli investitori non sono rimasti fregati: gli alti interessi se li sono tenuti, senza perdere nulla.
Si doveva coprire con i risparmi privati un debito che grazie alla monetizzazione precedente (interventi della Banca d'Italia) era ormai prossimo al 60% del Pil. 
Per attirare investitori, si dovevano offrire alti interessi, per lo meno più alti di quelli di mercato; gli interessi venivano pagati con le nuove emissioni, ovvero attirando sempre più capitali, e per far questo si dovevano offrire interessi sempre più alti. 
Ma quanto erano alti gli interessi di stato? Lo vediamo da questi grafici.



Il primo utilizza i valori degli interessi reali pagati, globalmente.


Il secondo, più 'puntuale', riprende i tassi di interesse reale pagati anno per anno, per i diversi titoli (fonte Tesoro).

Un altro modo, indiretto, per valutare i benefici ricevuti dai possessori di titoli di stato negli anni '80, i cosiddetti bot-people, è attraverso la quota di reddito da interessi sul reddito disponibile totale delle famiglie, specie in confronto a quanto avvenuto in altri paesi. Purtroppo i dati disponibili partono da metà anni '90, mancando quelli precedenti, ma il livello iniziale italiano può darci un'idea di quale fosse l'andamento anche precedente.


Anche negli altri paesi la quota di interessi sul reddito delle famiglie è via via diminuito, per il calo degli interessi, ma partivano da valori prossimi al 6-8%, quando in Italia erano al 14-15%, il doppio.

Quest'altro grafico, di fonte Istat, parte invece dal 1990, per il dato nazionale, e da metà anni '90, per quelli territoriali. All'inizio degli anni '90, il 14% del reddito delle famiglie proveniva dagli interessi; una quota ancora più elevata nel Nord-Ovest, in particolare in Lombardia.



Si può quindi comprendere la corsa all'oro, anzi..ai titoli di stato che c'è stata in Italia negli anni '80 e '90.

Ma quanto è costato ripagare il debito, e con quel risultato?

"Scoppiato" lo schema Ponzi degli anni '80, si trattava poi di pagare il debito accumulato, arrivato ormai oltre il 120%. Impossibile chiedere ai nuovi contribuenti di ridurlo, avrebbe comportato un onere elevatissimo, e così ci si è limitati a gestirlo, continuando ad un utilizzare sempre più tasse solo per pagare (parte de)gli interessi.
Ma quanto ci è costato? Vediamo questo grafico.


Come abbiamo visto gli avanzi primari corrispondono alla quota di tasse prelevate ai contribuenti per pagare parte degli interessi. Dal 1992 ad oggi quindi, rivalutando ai valori del 2015 tutti gli avanzi primari fatti in questi anni, e cumulandoli, arriviamo a quasi 1000 miliardi.
Mille miliardi pagati dai contribuenti... per NULLA.
Veramente per nulla, soprattutto, perché questi sacrifici dei contribuenti non sono nemmeno serviti per ridurre il debito pubblico, ancora elevatissimo, nemmeno rispetto al Pil.




Appendice

Abbiamo detto più volte, nel corso di questa lettera, che i disavanzi primari indicano la parte di spesa vera e propria (primaria) finanziata in deficit, mentre gli avanzi primari indicato la parte di tasse utilizzate per pagare gli interessi.
Basterebbero queste definizioni, ma io credo che molto spesso, per comprende meglio questi principi, sia meglio vederli, attraverso una rappresentazione grafica.
Questo ci consente anche di toccare un altro argomento:
Il bilancio della pubblica amministrazione non riesce a rappresentare completamente l'entità del bilancio pubblico, e quindi anche il 'peso' effettivo del debito, perché manca della gestione "dal lato tesoro" (con l'entità delle emissioni lorde e del debito in scadenza).
A titolo di esempio, proviamo a formare un bilancio completo, integrando i valori del bilancio noti con i dati del Tesoro, per l'anno 2000 (l'anno con il più alto avanzo primario).


Da qui, prima di tutto, possiamo comprendere meglio l'entità della parte di debito che ogni anno deve essere rinnovata (attualmente è di circa 400 miliardi), e quali rischi questo comporti per la stabilità dei bilanci pubblici: se il debito offerto non dovesse trovare acquirenti (o acquirenti disposti ad acquistarlo per un dato prezzo/interesse), dovrebbe essere ripagato con tasse sempre più alte. E ne abbiamo avuto una prova in tempi recenti. Ma vediamo il grafico più nel dettaglio.


Da questo 'dettaglio' del grafico precedente è più chiaro il 'parallelo' tra entrate totali e uscite totali; si vede quindi meglio quanto detto finora: l'avanzo primario serve a coprire il pagamento di una quota più o meno ampia degli interessi (potrebbe arrivare anche a coprire tutti gli interessi e parte dei prestiti in scadenza, riducendo quindi il debito anche in valore assoluto, ma questo non è mai avvenuto).
Vediamo ora un 'dettaglio' del bilancio completo per il 1990 (uno degli ultimi anni a registrare disavanzi primari).


Qui è il disavanzo primario a coprire parte della spesa vera e propria (primaria). 

In futuro ci serviremo di queste rappresentazioni, per rendere questi fenomeni anche più visibili.


1 commento:

  1. I commenti di questo blog sono disattivati, volutamente. Non credo che questo strumento, attualmente, possa dare un contributo efficace ad una seria discussione.
    Se qualcuno volesse inviare qualche considerazione 'ragionata', può scrivere a paginedissidenti@libero.it. Sarà mio impegno rispondervi e pubblicare quelli che vorrete pubblicati.

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