sabato 8 ottobre 2016

La rapina pensionistica

Analizzata la composizione della spesa pubblica nell'ultima lettera, abbiamo visto che la voce più 'anomala', in un confronto con gli altri paesi, è costituita dalla spesa pensionistica.
Partiamo quindi da qui, per studiare i comportamenti criminali dello stato; da quella che costituisce, senza dubbio, la peggiore rapina realizzata attraverso lo stato.
Osserviamone prima di tutto l'entità, attraverso i dati Oecd, ma, a differenza di quanto già fatto, questa volta vogliamo considerare la spesa pensionistica in rapporto al Reddito Lordo Nazionale, invece che rispetto al Pil (il motivo è che il Pil, pur costituendo la misura di confronto 'standard' di molti dati macroeconomici, è costruito con alcune componenti, quali il 'prodotto' realizzato dalle amministrazioni pubbliche, che consideriamo fuorvianti; volendo rapportare la spesa pensionistica alle 'risorse' di cui dispone effettivamente il paese, mi sembra più idoneo il reddito nazionale).
I dati Oecd provengono dal database sulla spesa sociale (SOCOX) dei paesi Ocse, e sono riferiti all'anno 2011 (attendiamo l'aggiornamento su dati più recenti); quelli relativi alle 'pensioni' comprendono le tre categorie delle pensioni per vecchiaia (old age), reversibilità/superstiti (survivors) e invalidità (incapacity related); vedremo nel dettaglio queste tre componenti.
Questa la situazione della somma di queste voci:



Su questa misura, la spesa pensionistica (pubblica) italiana per il 2011 sfiorava il 18% (17,9).
Sotto di lei l'Austria con il 16,3%, la Grecia con il 16,1, il Portogallo con il 15,7, la Francia al 15,6. La media dei paesi Oecd si ferma all'11%, la Germania al 12,3.
Il confronto col il reddito nazionale ci permette di comprendere quale quota di questo reddito proviene da trasferimenti pensionistici pubblici, e al tempo stesso, quale quota del reddito realizzato viene prelevato a chi l'ha prodotto, per questo scopo. Il 'trasferimento', come si vede, è enorme.
In numeri, per il 2011, si tratta di 281 miliardi (va subito precisato: le cifre su questi aggregati pubblicate da vari enti tipo Oecd, Istat, Eurostat, etc possono variare per metodologie e voci considerate).
Passiamo alla diverse componenti.
Le pensioni 'old age', ci vedono nuovamente 'primi in classifica', con un 13,4% rispetto al 7,6 della media Oecd.



Situazione abbastanza simile per le pensioni ai superstiti (survivors), 2,6 la percentuale italiana, rispetto al 1% della media Oecd:



Situazione diversa per le prestazioni di invalidità:



1,8 il dato italiano, contro il 2,3 della media Oecd.
Ciò dovrebbe bastare come prima risposta a quanti pensano che l'elevata spesa pensionistica italiana sia dovuta alle numerose pensioni di invalidità. No: l'incredibilmente alta spesa pensionistica italiana è dovuta alle prestazioni previdenziali 'normali'.

Siamo troppo vecchi?

Ma a cosa è dovuta questa elevata spesa? La prima risposta generalmente utilizzata è che 'l'Italia è un paese di vecchi'. La popolazione è invecchiata considerevolmente negli ultimi decenni, senza dubbio, ma questo non è accaduto solo in Italia.
Lo dimostrano bene questi confronti con la Germania, il Giappone, la Spagna..persino la Svizzera, in cui è indicato l' old-age dependency ratio (il rapporto tra la popolazione anziana, + 65 anni, e quella in età lavorativa, 20-64; anche secondo le previsioni demografiche future) da una parte, e la spesa per pensioni (old-age) in rapporto al pil, dall'altra.





E' ovvio quindi che in Italia, a fronte dell'invecchiamento della popolazione (prevedibile e prevista, del resto), non si è saputo, o meglio voluto, contenere la spesa pensionistica.
Facciamo un confronto anche più generale, in questo grafico la spese pensionistica (old-age) è confrontata con l' old-age dependency ratio, per tutti i paesi Oecd:


Ovviamente la spesa pensionistica risulta funzione della 'anzianità' della popolazione, e l'Italia è uno dei paesi con percentuale più alta, ma la spesa pensionistica è comunque ben superiore a quella che dovrebbe essere per questa semplice relazione.

Inoltre, è il caso si fare una ulteriore considerazione: come si può vedere dai grafici precedenti il tasso di anziani sulla popolazione attiva, in Italia è destinato a crescere continuamente, fino al 2050.
Se la spesa pensionistica fosse veramente solo funzione del numero di anziani, vorrebbe dire che tale spesa, già molto elevata sarebbe destinata a crescere, fino a raddoppiare il livello attuale.
Eppure, tutte le stime di previsione (che in futuro vedremo quanto attendibili siano) affermano che la spesa pensionistica su Pil Italia resterà più o meno al livello attuale.
Questo significa solo una cosa, che per il futuro si sono presi quei provvedimenti di riduzione della spesa pensionistica che non si sono voluti prendere per il passato, e che oggi ci portano ad avere la più alta spesa pensionistica mondiale.

A cosa è dovuta quindi l'elevata spesa pensionistica italiana? Alle generose condizioni del sistema retributivo, che ancora paga, oggi, la quasi totalità delle pensioni annuali.
Condizioni generose in termini di assegni pensionistici, e in termini di durata delle pensioni (attraverso le basse età di accesso alla pensione).

Prima di vedere questi due aspetti, è bene sottolineare una cosa, e lo facciamo attraverso quest'altro grafico, tratto da uno degli ultimi report Oecd sulle pensioni:


Niente può rappresentare meglio l'idea di 'welfare' che si è voluto creare in Italia meglio di questa immagine.
La spesa sociale italiana sfiora ormai il 30% del Pil (era al 28,6% al 2014, ultimo dato Oecd), e all'interno di questa, come visto, circa il 18% è costituito da spesa pensionistica.
Di questa spesa sociale solo un 10% va a finire al 20% (quintile) di popolazione più povera, mentre circa il 35% va al quintile più ricco (rispetto al reddito disponibile equivalente).
Tutti i paesi di tradizione 'anglosassone' hanno mantenuto una idea di 'welfare' veramente 'sociale'; bassa spesa sociale, ma che va alle persone veramente bisognose.
In altri paesi, tra cui l'Italia, gran parte della spesa sociale va invece ai più ricchi.
E' un risultato paradossale, ma del tutto ovvio: in Italia per molto tempo si è pensato che fosse compito dello stato garantire la pensione a tutti, anche a chi avesse raggiunto redditi elevatissimi. E con un sistema che mantenesse tale livello di reddito. Una follia.
Questo è il risultato:


Ci confrontiamo nuovamente con la Germania, perché, come visto anche i tedeschi dovrebbero avere problemi di 'invecchiamento della popolazione', eppure hanno saputo mantenere una spesa pensionistica più bassa (che vuol dire un minore sacrificio per i contribuenti).
In Germania le pensioni mensili sopra i 2000 euro sono pochissime, circa l'1% del totale, in Italia arrivano al 23% del totale. Una follia.

Un accenno all'altra condizione che ha determinato la generosità del sistema retributivo: l'età di accesso alla pensione. Accontentiamoci per ora di usare i dati Inps sulle erogazioni pensionistiche alle gestioni 'private', e riguardanti le pensioni per decorrenza (ovvero rispetto l'anno in cui si è iniziato a percepire la pensione).
Su 14 milioni e 300 mila pensioni erogate da queste gestioni, quasi 915 mila, il 6,4%, tra pensioni di vecchiaia, di invalidità e ai superstiti, ha decorrenza anteriore al 31 dicembre 1980, ovvero, sono pagate da almeno 36 anni. Se ci limitiamo alle sole pensioni di 'vecchiaia' (vecchiaia e anzianità) sono comunque 188 mila, moltissime.

Il tema della rapina pensionistica richiederebbe lunghissime analisi, le faremo in futuro sui diversi aspetti; per ora aggiungiamo qualche ultima considerazione riguardo alla generosità del sistema retributivo che ha creato questa situazione.

Queste due tabelle provengono dalle relazioni della Commissione Brambilla, istituita nel 2001 per analizzare la situazione del sistema previdenziale e proporre eventuali modifiche.
La prima mostra i tassi interni di rendimento reali per i sistemi retributivo, misto e contributivo, ovvero i tassi che applicati ai contributi realmente versati porterebbero al totale delle prestazioni erogate.



I casi più eclatanti sono quelli di artigiani (e commercianti) che entrati nel mondo del lavoro nel 1960 e usciti nel 1995, hanno iniziato a ricevere pensioni retributive con un tasso di rendimento reale annuo del 12-12,4 %. Ma anche le altre categorie hanno ottenuto rendimenti comunque generosi, specie in confronto a quelli del sistema contributivo, che, come vedremo meglio, sono parametrati esclusivamente alla crescita di lungo periodo del pil, e quindi dell'economia.

La seconda tabella deriva quasi della prima, e mostra gli anni di pensione che risulterebbero 'coperti' in base agli effettivi contributi versati.



Ancora una volta impressiona il dato degli artigiani, che vedrebbero coperta la propria pensione per soli 3 anni circa, con una differenza tra 20 e 22 anni di vita pensionistica residua (questa tabella permette anche di conoscere le durate medie di vita pensionistica, tra i 20 - 25 anni, almeno per quanto era stato calcolato da questa commissione nel 2001). 

Altre informazioni molto utili riguardo la generosità del sistema retributivo ci vengono direttamente dall'Inps, che, negli ultimi periodi, ha effettuato e pubblicato diverse simulazione per valutare di quanto dovrebbero essere ridotte le pensioni retributive se si applicassero anche a loro i criteri del metodo contributivo (con si calcoleranno le pensioni future).
Limitiamoci a riportare questo grafico (toccheremo questo argomento più nel dettaglio in futuro) ch riguarda la gestione Commercianti.



Una piccola percentuale ci guadagnerebbe, perché avrebbe assegni anche superiori a quelli attuali, ma la maggior parte avrebbe tagli consistenti (quasi il 20% subirebbe un taglio di oltre il 50%).

Fermiamoci per ora qui.
C'è molto da dire sulla rapina pensionistica italiana, ma lo faremo con calma in futuro.





1 commento:

  1. I commenti di questo blog sono disattivati, volutamente. Non credo che questo strumento, attualmente, possa dare un contributo efficace ad una seria discussione.
    Se qualcuno volesse inviare qualche considerazione 'ragionata', può scrivere a paginedissidenti@libero.it. Sarà mio impegno rispondervi e pubblicare quelli che vorrete pubblicati.

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