domenica 16 ottobre 2016

Il contratto pensionistico

Quando si parla di tagliare le pensioni si dice sempre che questo non è possibile, perché le pensioni sono ormai 'diritti acquisiti', e c'è chi arriva a sostenere che 'le pensioni si basano su un contratto tra il cittadino e lo stato'. 
Questo tipo di contratto, pensionistico, deve essere forse una forma speciale del famoso contratto sociale, da come se ne parla; ma sicuramente, si tratta di un contratto molto strano:
Bisogna ricordare innanzitutto che le nostre pensioni si basano sul sistema a ripartizione, il che significa che le pensioni sono pagate dai contributi dei lavoratori (o, qualora questi non siano sufficienti, attraverso la 'fiscalità generale', quindi, sempre attraverso tasse pagate dai contribuenti lavoratori).
Questo contratto pensionistico non è siglato esclusivamente tra lo stato e il futuro pensionato, in questi termini "Mi darai X contributi, io li farò fruttare, e con quel rendimento R, tra N anni, ti darò una pensione che vale Y". Questo sarebbe un contratto di un 'sistema a capitalizzazione'. Ma non esiste alcun tesoretto di questo tipo nelle pensioni italiane.
E' piuttosto un contratto a tre, tra lo stato, il futuro pensionato e il futuro contribuente (che diventerà a sua volta pensionato in un futuro ancora più lontano), e scritto in questi termini: "Mi darai X contributi, io ti computo un rendimento fittizio R, e tra N anni, ti darò una pensione che vale Y...con i soldi che prenderò ai futuri contribuenti".
La cosa strana, in questo tipo di contratto, è che il futuro contribuente non ha avuto nessuna voce in capitolo: non essendo generalmente ancora nato, o non potendo votare, non ha potuto valutare, analizzare, discutere, emendare, approvare, le condizioni a lui sottoposte. Gli sono state semplicemente imposte.
Ma un contratto in cui una parte non ha potuto approvarne le condizioni, non può essere un contratto valido.
Ad esempio, la riforma del '69 che introduceva il metodo retributivo, coinvolgeva nel contratto chi, dopo 30-40 anni, avrebbe pagato quelle pensioni, ovvero l'attuale generazione di lavoratori che, nella maggior parte dei casi, doveva ancora nascere.
Allo stesso modo, la riforma Dini, introduceva il metodo contributivo per chi sarebbe entrato nel mercato del lavoro dopo il 1996, ovvero per coloro i quali, nella maggior parte dei casi, o non era ancora nato, o non aveva ancora iniziato a votare.
Ma come può una democrazia essere veramente tale, se determina degli obblighi per qualcuno che non ha potuto nemmeno prendere parte a quelle decisioni, direttamente o indirettamente?
In teoria, dovrebbe essere lo stato, il legislatore, a rappresentare gli interessi dei contribuenti futuri, garantendo le migliori condizioni anche per loro. Ma è andata veramente così?

Per valutare se lo stato sia veramente riuscito a difendere anche i diritti dei futuri contribuenti basterebbe considerare le diverse condizioni accordare ai pensionati e ai contribuenti.
Prendiamo per semplicità le condizioni accordate a chi è andato in pensione con una pensione puramente retributiva (in pratica, tutti i pensionati andati in pensione fino agli anni più recenti) e quelle accordate alla generazione puramente contributiva (che andrà in pensione col sistema contributivo tra 20 anni e oltre, essendo entrati nel mercato del lavoro dopo il 1996)
[Il confronto sarà solo approssimativo, perché per una trattazione più precisa si dovrebbero considerare casi molto vari e diversi]:

Le aliquote

un retributivo dipendente negli anni '50 versava contributi con aliquote del 9%, poi cresciute al 15% dei primi anni '60, poi 20% degli anni '70, poi 25% degli anni '80 e '90. Le aliquote sono arrivate al 33% (32,7) solo a fine anni '90, con l'introduzione del contributivo.
un contributivo dipendente paga contributi con aliquote del 32,7%, da sempre.
un retributivo autonomo ha pagato aliquote del 10-12%. solo negli anni '90 sono cresciute.
Un contributivo autonomo ha pagato aliquote del 15, poi 20 e ora del 24%.
Un retributivo ha quindi pagato aliquote molto di basse di un contributivo.
Ma per quanto tempo?

La durata contributiva

Un pensionato retributivo poteva ottenere la pensione generalmente dopo 35 anni di contributi, ma sappiamo bene anche di condizioni ben più favorevoli per alcune categorie di lavoro (come i baby pensionati, molte volte con 15 anni scarsi di contributi)
un contributivo, visto il progressivo innalzamento dell'età pensionabile, già arrivato a 67 anni, verserà contributi per 40-45 anni; non è dato, ad oggi, conoscere la vita contributiva effettiva del futuri pensionati, ma certe informazioni, provenienti dall'Inps stesso, prevedono pensionati che potranno andare in pensione anche a 75 anni, e con pensioni molto basse.
Ma con quale pensione?

I tassi di sostituzione

le pensioni retributive erano completamente sganciate dall'ammontare dei contributi versati; il sistema era invece progettato per pagare al pensionato una quota delle ultime retribuzioni; per ogni anno di contribuzione veniva computato un 2% dell' "ultima retribuzione" (calcolata come media su un intervallo più o meno ampio, a seconda della categoria), e per alcune gestioni con percentuali anche più alte. In questo modo con 35 anni di contributi si arrivava al 70% dell'ultima retribuzione, 80% con 40 anni di contributi (tale rapporto è detto tasso di sostituzione). Ma questo, al lordo. Considerato che sulle retribuzioni si pagavano i contributi stessi, mentre sulle pensioni solo le imposte sul reddito, la percentuale al netto (il tasso di sostituzione netto) è molto più elevato (80-90%).
Dai dati pubblicati da diverse fonti, per esempio, la Ragioneria Generale dello Stato, si prevede che i futuri pensionati contributivi, a parità di anni di contributi e età, riceverebbero tassi di sostituzione ben inferiori: 60, 50, in qualche caso 40% (a seconda delle categorie considerate). Soltanto con l'innalzamento dell'età di pensionamento - visto che con il metodo contributivo a maggiori contributi e minor durata pensionistica corrispondono assegni più alti - si potranno ottenere tassi di trasformazione prossimi a quelli del retributivo, ma su una durata pensionistica ben inferiore.
E con quale durata quindi?

La durata pensionistica

La durata media di una pensione retributiva si attesta negli ultimi anni a 23-25 anni (ma vi sono centinaia di migliaia di pensionati che ricevono pensioni dagli anni '80).
In futuro, i contributivi non potranno certo ricevere la pensione con un tempo così lungo, visto che si stima che l'età media di pensionamento sarà prossima ai 70 anni.

Un altro confronto indiretto si può ricavarlo dalle previsioni effettuate sulla spesa pensionistica futura dalla Ragioneria Generale dello Stato: oggi la spesa pensionistica su pil (secondo gli aggregati considerati dalla RGS) è attorno al 15-16%, e in futuro non dovrebbe aumentare di molto. Ma dato che la quota di anziani (over 65) sulla popolazione in età da lavoro (20-64) è destinata a raddoppiare, ciò significa che tale crescita dovrà essere compensata dalla modifica delle condizioni pensionistiche, dalla riduzione ricchezza pensionistica pagata, ovvero da quanto riceverà il pensionato in confronto a quanto ha versato.
Si può quindi dire che tale ricchezza verrà dimezzata rispetto alle condizioni attuali.

E' ben evidente quindi che i retributivi in confronto ai contributivi hanno ottenuti una ricchezza pensionistica ben più generosa, e a fronte di contributi versati molto minori.Il sistema pensionistico italiano è solo una grande rapina.
Non si può certo dire che lo stato abbia ben difeso gli interessi dei futuri pensionati, che non hanno potuto sottoscrivere il contratto pensionistico; anzi, negli ultimi decenni, anche quando l'iniquità del sistema retributivo era diventata del tutto evidente, la politica ha fatto di tutto per difendere questa rapina, con interventi di breve periodo mai risolutivi, spostandone il costo e le conseguenze sempre di più sui prossimi o futuri pensionati.

Se un contratto (o un accordo) vi è stato, tra la generazione retributiva e lo stato (passato e presente) è stato solo per progettare questa rapina, prima, e per difenderla in tutto e per tutto, poi, da qualsiasi attacco, da qualsiasi tentativo per ridurla o cancellarla.
Ma il diritto (vero) non può tutelare contratti o accordi che abbiano finalità criminali, per cui, il contratto pensionistico su cui si basa il nostro sistema pensionistico non può essere considerato in nessun modo valido.

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